di CHIARA GIACCARDI
Forse non tutti sanno che la prima edizione tedesca di Understanding Media di Marshall McLuhan traduceva quel titolo, che in Italia diventava “Gli strumenti del comunicare“, come “I canali magici“. Nell’accezione di McLuhan è magico ciò che consente di afferrare la realtà, ciò che trasforma, che stupisce e che cambia le relazioni tra le cose. Se per l’uomo tribale “i riti magici sono forme di conoscenza applicata” (Understanding Media), per le neotribù di un’era in cui i media sono ambiente ed estensioni che potenziano il nostro sentire e consentire, essi svolgono una funzione magica in almeno tre sensi:
- rispetto al sé, esibendo l’interiorità, che da “guardarsi dentro”, diventa trovarsi nell’altro che ci guarda (quella che Bauman chiama “extimacy”, estimità, come interiorità esibita);
- rispetto alla realtà, che nella società del rischio passa da una presenza “solida” a una precarietà permanente, dove il rischio del non-essere viene continuamente esorcizzato attraverso liturgie che, grazie ai media, celebrano la presenza: dagli schermi urbani al monitor del nostro PC o smartphone, siamo continuamente rassicurati del fatto che ciò che potrebbe non essere, fortunatamente c’è (techne/tyche, tecnica e caso). Presenza, etimologicamente, riguarda almeno tre aspetti: lo spazio (è presente colui del quale sono al cospetto), il tempo (è presente il tempo che entrambi abitiamo nel nostro essere reciprocamente accessibili), il dono (il “presente” che l’altro mi fa riconoscendo l’immagine di me che io voglio proiettare, o il dono della realtà e dei suoi ritmi che gli schermi ci offrono continuamente e ovunque);
- rispetto all’azione: se la magia, con De Martino, è l’annullamento dell’intervallo tra desiderio e realizzazione, o, con McLuhan una forma efficace di conoscenza applicata, i media si offrono insieme come ambienti e come strumenti per darci l’illusione di realizzare, nella forma dell’istantaneità, ciò che la modernità prometteva nella forma dilazionata del progetto.
Oggi, nell’era audio tattile del Web, McLuhan ci serve per “leggere” una serie di processi, e per capire che forse non sarà la magia a renderci liberi, ma quella consapevolezza senza la quale siamo destinati a diventare i servomeccanismi dei sistemi (dei dispositivi, diremmo oggi) che noi stessi abbiamo costruito.
Chiara Giaccardi
Sociologia e antropologia dei media
Università cattolica Milano