La mancanza di tecnologie e di esperienza e la concorrenza delle major internazionali stanno ponendo seri problemi alle compagnie cinesi. La “Go out policy” dovrebbe prevedere un acquisto più consistente di titoli

Nel corso del XXI secolo, il prezzo del petrolio è andato costantemente aumentando. In seguito alla diversificazione delle fonti di importazione, l’Africa, con i suoi ricchi giacimenti e un’industria petrolifera in forte ascesa, è diventata una potenziale “terra promessa” dell’oro nero per tutto il mondo.

L’Africa può essere annoverata tra le aree con il più rapido aumento di riserve petrolifere: i dati ufficiali della BP Statistical Review of World Energy rivelano che alla fine del 2011 contava circa 17,6 miliardi di tonnellate di riserve petrolifere – un valore di poco inferiore a Medio Oriente, Europa e Eurasia e leggermente superiore ad America centrale e meridionale. A ragione, dunque, l’Africa è stata ribattezzata “il secondo Medio Oriente”. A causa del lento sviluppo, il consumo di petrolio sul continente è il più basso a livello globale: in base alle statistiche relative, si attesta sul 28 percento della produzione giornaliera di petrolio, mentre il resto è destinato all’esportazione.

Cooperazione energetica: opportunità e sfide

La Cina sta sviluppando una dipendenza sempre più forte dall’importazione di petrolio, al punto che, secondo le stime, nel 2020 il 60 percento del petrolio utilizzato sul territorio sarà importato. Di conseguenza, oltre a ridurre i consumi per sopperire alla mancanza di risorse, la Cina deve diversificare le fonti di importazione e, da questo punto di vista, il mercato petrolifero africano sarà determinante in futuro.

Nell’ultimo decennio, il valore degli scambi commerciali tra Cina e Africa è aumentato di 16 volte, passando da 10,6 miliardi di dollari nel 2000 a 166,3 miliardi nel 2011. La Cina ha investito più di 40 miliardi di dollari nel continente, 14,7 miliardi dei quali in investimenti diretti. Sono oltre 2000 le aziende cinesi che hanno investito in Africa. La Cina è il primo partner commerciale dell’Africa e la cooperazione energetica è una componente fondamentale del rapporto sino-africano.

Le modalità di cooperazione includono prestiti a condizioni favorevoli, appalti, mutuo scambio e investimenti negli stabilimenti produttivi. L’esempio più significativo è senza dubbio la collaborazione con il mercato sudanese, che ha accolto CNPC con termini di prestito favorevoli.

Nel giugno del 1997, CNPC, Petronas, Canadian SPC e Sudan National Oil Company hanno fondato la Greater Nile Petroleum Operating Company, una compagnia con una produzione annua di 10 milioni di tonnellate di greggio. A maggio del 2000, CNPC ha ultimato la costruzione della raffineria di Khartum, il primo stabilimento moderno del Sudan, e nel 2011 la Cina ha importato 13 milioni di tonnellate di petrolio dal Paese (260.000 barili al giorno).

Il valore delle esportazioni di petrolio dall’Africa alla Cina è passato da 3,11 miliardi di dollari nel 2000 a 7,393 miliardi nel 2009, con un incremento del 43,40 percento su base annua. Nel 2000 le esportazioni in Cina rappresentavano lo 0,77 percento delle esportazioni totali di petrolio dall’Africa e nel 2009 il dato ha raggiunto il 10,07 percento: 9,3 punti percentuali in 9 anni che hanno consentito alla Cina di rientrare fra i 10 maggiori importatori dall’Africa. Nel 2011, la Cina ha importato 57,97 milioni di tonnellate di greggio dal continente nero, pari al 23 percento delle importazioni totali.

Per rispondere alla domanda interna di petrolio, la Cina ha importato greggio da vari Paesi africani, quali Sudan, Angola, Libia, Algeria, Congo, Egitto e Mauritania.

Le compagnie petrolifere cinesi in Africa

Nonostante le principali società cinesi abbiano penetrato il mercato africano, i problemi da affrontare sono ancora numerosi.

Innanzitutto, la maggior parte delle nazioni africane è caratterizzata da una forte instabilità politica. Salvo rare eccezioni, la maggior parte dei Paesi produttori di petrolio è vittima di conflitti etnici, religiosi e politici, ulteriormente aggravati dall’avvento della Primavera araba, che ha introdotto nuovi fattori di instabilità e di rischio per le aziende straniere. Ad esempio, alcuni dipendenti CNPC sono stati rapiti in Nigeria, mentre l’impianto Sinopec in Etiopia è stato assalito da un gruppo di militari ribelli.

In secondo luogo, le compagnie cinesi, entrate nel mercato africano solo dopo i Paesi occidentali, possiedono ancora tecnologie, esperienza e mezzi limitati. Allo stesso tempo, alcune aziende americane e giapponesi tentano di ostacolare lo sviluppo dei concorrenti cinesi. Il “nuovo colonialismo cinese”, come è stato definito, ha avuto ripercussioni negative sulle aziende cinesi.

Infine, le capacità di esplorazione delle compagnie petrolifere cinesi sono tutt’altro che avanzate rispetto a quelle delle major internazionali. Esperte nell’esplorazione ed estrazione offshore, le compagnie cinesi sono invece poco avvezze allo sfruttamento delle aree onshore – una carenza che ha arrestato il loro sviluppo lungo le coste africane, ricche di giacimenti ad altissimo potenziale.

Pertanto, nei rapporti con il mercato petrolifero africano, la Cina deve soffermarsi in modo particolare su tre aspetti: gestire i rapporti con i Paesi produttori di petrolio, affrontare la concorrenza delle compagnie petrolifere occidentali e migliorare la cultura aziendale.

Trasformare le attuali modalità operative delle compagnie petrolifere cinesi e consolidare la cooperazione con le compagnie internazionali e locali è il metodo di sviluppo del futuro.

Promuovere fusioni e acquisizioni.

Per prima cosa, è necessario promuovere le fusioni all’estero e l’acquisto di partecipazioni da parte delle aziende. La cooperazione sino-africana si è finora limitata al commercio del petrolio, trascurando l’acquisto di titoli del settore petrolifero. La “Go out policy” (n.d.r., l’insieme delle misure adottate dal Governo cinese a partire dalla fine degli anni ’90 volte a incentivare gli investimenti cinesi all’estero) dovrebbe invece prevedere un acquisto più consistente di titoli e assicurare una fornitura continua. Nonostante la tempesta finanziaria globale e la crisi del debito siano ancora in atto, le compagnie petrolifere cinesi hanno conservato un ottimo status finanziario. Le aziende private che desiderano esplorare i Paesi africani devono essere incoraggiate a incrementare la propria quota nei mercati africani, prestando particolare attenzione alla cooperazione con Ciad, Guinea Equatoriale, Gabon, Nigeria, Kenya e Liberia.

Anche gli investimenti complessivi nel settore petrolifero richiedono una nuova spinta. Lo sviluppo dell’industria nei Paesi africani dipende fortemente dagli investitori stranieri, e in particolare occidentali. Le compagnie petrolifere occidentali concentrano i propri investimenti nelle attività di esplorazione ed estrazione, trascurando raffinerie e pietrificazione – una preferenza che è costata all’Africa l’esportazione del 75 percento della produzione. Le principali nazioni produttrici di petrolio si stanno attivando per aggiornare il settore petrolifero. Ad esempio, Akon Refinery Company ha invitato le aziende straniere a presentare un’offerta per la realizzazione di una raffineria con una produttività di 50.000 barili al giorno. South African Petroleum Company ha deciso di costruire una raffineria a Elizabeth Port con una produttività stimata di 400.000 bbl/g. Entrambe le gare d’appalto hanno offerto una preziosa opportunità alle compagnie petrolifere cinesi, che possono contare su un valido know-how e competenze avanzate in materia di estrazione, edilizia, raffinazione e trasporto. Con il sostegno delle società di investimento nazionali, le aziende petrolifere cinesi potranno ampliare le proprie attività e alimentare lo sviluppo del sistema industriale locale.

In aggiunta a questi punti, è indispensabile rafforzare le cooperazioni internazionali ed estendere la condivisione di partecipazioni. Unendo le forze, CNPC, CNOOC e PetroChina otterranno più partecipazioni nel mercato petrolifero africano, riducendo i rischi politici e finanziari. Le aziende africane devono valutare la possibilità di dare in prestito risorse petrolifere per attrarre capitali e consolidare le operazioni – un’occasione unica per la Cina di ottenere nuove risorse mediante partecipazioni agli utili e fusioni. Non è da sottovalutare, inoltre, la cooperazione nel campo della privatizzazione delle compagnie petrolifere nazionali africane. Le aziende cinesi devono affrontare la concorrenza di Europa, Stati Uniti, Russia, Giappone, Corea del Sud e India, perciò la cooperazione è essenziale per guadagnare un considerevole margine di vantaggio.

Politiche di responsabilità sociale.

Il principio è valido anche per la cooperazione a livello locale. La localizzazione ha il merito di aumentare i posti di lavoro per la popolazione africana. Attuando politiche di responsabilità sociale, è possibile potenziare le infrastrutture locali, la formazione del personale e il tasso di scolarizzazione. Nel 1999 BGC INC ha avviato un programma di formazione del personale straniero e da allora CPNC ha formato oltre 15.000 collaboratori provenienti da Arabia Saudita, Sudan, Kazakistan e altri 30 Paesi. L’86,5 percento dei collaboratori coinvolti nell’Eastern Exploration Program è autoctono e il 60 percento lavora da oltre 3 anni.

Altrettanto importante è mantenere rapporti solidi, cordiali e a lungo termine con i governi locali, le ONG e le comunità. A causa delle recenti tensioni in Medio Oriente, avere accesso all’Africa è un vantaggio per le compagnie petrolifere, che possono così garantire la sicurezza energetica interna. Cina e Africa devono stabilire una comunicazione efficace e condividere interessi.

Da ultimo, le aziende cinesi devono imparare a conoscere le realtà locali per fornire una produzione di qualità e migliorare la notorietà del marchio e il servizio di assistenza post-vendita. Contrariamente al passato, i Paesi africani si aspettano che le aziende cinesi trasmettano le proprie competenze agli operatori locali. Le società attive nel settore energetico dovrebbero valutare con maggiore attenzione tutti gli aspetti che le riguardano.

Un ruolo essenziale nella sicurezza energetica.

In conclusione, l’Africa ha un ruolo essenziale nella sicurezza energetica cinese. Influenzato dalla progressiva espansione delle compagnie petrolifere cinesi sul mercato internazionale, l’ambiente esterno diventa sempre più complesso. Proprio per questo motivo, partendo da un’analisi del rischio-Paese bilaterale e multilaterale, le aziende cinesi dovrebbero concentrare i propri interessi in Africa. Il Sudan e altri Paesi africani produttori di petrolio hanno creato un mercato di venditori in contrasto con gli interessi diplomatici della Cina.

Allo stato attuale, l’Africa è il maggior fornitore straniero di petrolio. La Cina deve diventare un attore sempre più presente nel sistema energetico e finanziario locale e internazionale, consolidare le relazioni economiche e sociali con i Paesi produttori di petrolio, intraprendere azioni diplomatiche in campo energetico e partecipare alle esplorazioni e alle estrazioni a livello locale. La nuova strategia “Loan for Oil” (prestiti in cambio di forniture di petrolio) può contribuire a sviluppare il potenziale dei Paesi produttori. Dal 2009, la Cina ha sottoscritto accordi di tipo “Loan for Oil” con Russia, Venezuela, Angola, Kazakistan e Brasile, per un volume totale di 45 miliardi di dollari. A fronte della mancanza di capitali e tecnologie, i Paesi africani produttori di petrolio sono favorevoli al “Loan for Oil” e la Cina dovrà puntare su questa modalità nelle cooperazioni future.

Li Lifan

media2000@tin.it

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