Quo properas? (Lucr.Met.V)
Discutiamo di filosofia della comunicazione, cercando la verità.
La verità non è una sola, non è solitaria e non sta mai ferma. La verità (dovrei meglio dire: le proposizioni vere) nasce in un contesto ambientale, da un percorso razionale e con una finalità. Machiavelli potrebbe dire che il fine giustifica i mezzi, ovvero anche le proposizioni non vere.
Non è così semplice: la logica impone procedure di esposizione e di verifica molto precise: una parte non può essere maggiore del tutto, da giudizi negativi non può nascere un risultato positivo e via così con i rifiuti delle fallacie informali, vetuste ma fondamentali (argumentum ad hominem, ad populum, petitio principii, plurium interrogationum ecc.).
Una governance dispotica, in passato come oggi, tende a sostenere il proprio potere con dichiarazioni autoreggenti, vere per forza. Chi contraddice dice il falso. Per esempio: abbiamo studiato e celebrato il ‘vero’ trionfo di Giulio Cesare in Gallia, che nelle sue conquiste ha massacrato intere popolazioni ‘barbare’; tedeschi e italiani in grande maggioranza hanno celebrato le imprese di Hitler e Mussolini e trascuro altre esperienze contemporanee, di tipo autoreferenziale, che sono sotto gli occhi di tutti.
Una governance democratica tende a ritenere vere le proposizioni e i giudizi verso i quali converge il più alto numero di sostenitori, anche se insensibili ad un ragionamento più approfondito. Tuttavia certo tipo di comportamentalismo è terreno fertile per i pregiudizi, anche razzisti o fobici, agevolati da percezioni emotive di grande intensità all’interno del proprio gruppo di riferimento. Chi si oppone? Chi si oppone agli insulti all’arbitro di una partita di calcio, motivati solo dalla propria fede sportiva? Chi si oppone al radicalismo estremo della propria setta religiosa? Chi può opporsi ad un risultato elettorale maggioritario?
In omaggio alla scienza qualcuno sostiene che le proposizioni vere sono solo probabili. Ma dipendono dalla frequenza o dalla varianza? La matematica e la statistica vanno applicate con rigore alla democrazia, tenendo conto non solo del conto numerico, ma anche del peso valoriale. Oddio, questo si è perso! L’attenzione dell’opinione pubblica oscilla paurosamente tra la politica, le tasse, il gossip delle star e il calcio. E i mass-media e social network ci vanno appresso. O ci fanno da maestri di vita? e il pubblico ne è avvinto come in una sindrome di Stoccolma? Sì, così ci dicono le medie degli ascolti tv e le mode dei chiacchiericci sui social.
E così il vero resta dietro le quinte, anche in politica, per dare spazio allo spettacolo.
Si dice che la verità, come la scienza, non è democratica. Eppure c’è chi la mette sulla canna dei fucili e delle testate atomiche, sul proprio pugnale, sulla bandiera di partito, sul proprio intimo e disperato senso di amore. Non è verità, è follia.
Il confronto tra ragione e sentimento è oggetto della cultura della civiltà fin dal suo inizio e le parole hanno fatto spesso da paravento al vero. Le letterature epiche e romantiche sono capolavori, l’intrattenimento piacevole è sacrosanto, ma la gestione sociale chiede razionalità. Almeno gli opinion makers non possono esentarsene. Scarsa scusante quella che alcuni chiamano società liquida, nella quale le procedure si confondono, i comportamenti estremi si mescolano a quelli abitudinari, le ingiurie sono sempre motivabili, l’ambiguità è la prassi, il sofisma è the king, il dibattito è una rissa, i guai sono di chi se li va a cercare, chi urla di più naviga meglio. Se non è la società reale, certo è l’immagine di società che emerge più spesso dai mass media. Priorità di comunicazione e ricerca di audience, cose vere (realtà) più lontane.
Sembra l’applicazione del principio di indeterminazione di Heisenberg invece che quello di identità di Aristotele: la legge di gravità non vale, spazio e tempo sono opzioni, tutte le strade sono buone, burocrazia non-sense, potere cybernetico, legami provvisori, retorica incoerente, sintassi frullate, black holes in agguato, sine adaequatione rei et intellectus.
Quanto alla tecnologia: chi ci garantisce che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale non produca robots guidati da algoritmi spregiudicati, che riconoscono solo la verità che fa comodo ai loro creatori, o che la genetica non crei androidi pericolosi (che già la fantascienza sta anticipando)? Basta un nonnulla per insegnare ad una macchina a dire bugie o a non rispettare la logica. Che ci sia un’evoluzione neuronica in sviluppo anche nei cervelli umani?
Restiamo confusi da segnali sconcertanti. E’ lo shock da accelerazione tecnologica, da aumento della complessità, da risveglio di coscienze primitive, dove l’uso della clava (o della ruspa) prevale su quello del cervello (o della penna)? Qual è l’orizzonte? Non c’è una Provvidenza, ce la dobbiamo costruire noi.
Intanto il futuro a medio termine si preannuncia difficile: diminuiscono le risorse, cresce l’inquinamento in cielo, terra e mare, aumentano le tensioni sociali tra poveri e abbienti. Lo sviluppo sostenibile sta diventando l’argomento cruciale per la sopravvivenza del nostro pianeta e richiede rigorosi comportamenti individuali e interventi governativi urgenti. Urgentissimi, come suggerisce l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che i governi di 193 Paesi hanno condiviso ma solo in piccola parte attuato.
Sull’argomento ci vorrebbe più razionalità, più comunicazione responsabile, più letteratura impegnata, più rispetto della verità, magari anche più poesia come direbbe Torquato Tasso:’l vero condito in molli versi, i più schivi allettando ha persuaso.
Il vero, mi raccomando!
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RIQUADRO
A proposito delle fallacie informali, sapete che cos’è la cosiddetta “fallacia del cecchino texano” (Texas Sharpshooter fallacy)?
Un giorno un pistolero del Texas sparò vari colpi col suo revolver su un muro della sua fattoria. Poi dipinse i cerchi del bersaglio nella migliore corrispondenza dei buchi creati dai suoi colpi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Fallacia_del_cecchino_texano
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