A seguire riportiamo il discorso integrale che Raffale Lorusso (Segretario Generale FNSI) ha tenuto ieri in occasione del convegno: L’Italia cambia. Cambia il giornalismo.
“Il futuro si può costruire insieme, a patto che si parta dalla constatazione che il mondo è cambiato. Questa categoria, come il Paese, ha vissuto stagioni irripetibili. L’ambizione del governo di riscrivere la legge sull’editoria è una sfida che il sindacato dei giornalisti raccoglie in pieno. Dobbiamo essere ambiziosi: il tavolo con il governo può essere l’occasione per mettere mano alle leggi di sistema, aggiornandole e rendendole più attuali e sostenibili. Come già in occasione dell’accordo del 2014, i cui capisaldi vanno mantenuti e non smantellati, governo, editori e giornalisti devono ragionare insieme di un futuro in cui la necessaria innovazione dei processi produttivi, dei prodotti editoriali e dell’approccio alla professione sia accompagnata da una altrettanto necessaria ripresa dell’occupazione. Gli incentivi all’occupazione messi in campo dal governo vanno mantenuti perché possono generare mille posti di lavoro in un triennio. Insieme bisogna ragionare di come portare a conclusione i processi di ristrutturazione ancora in atto in molte aziende e di come aprire una fase nuova. Servono riforme profonde e di sistema, volgendo lo sguardo a quanti nel mondo del lavoro e nei processi produttivi ci sono già, ma senza alcuna tutela e garanzia perché, complici leggi poco rispettose della dignità delle persone, sono condannati ad un precariato umiliante e inaccettabile per un Paese civile. Va riconosciuta la specificità della prestazione giornalistica che, anche quando viene svolta in forma autonoma, ha sempre un’azienda editoriale come destinataria: se tutele crescenti devono essere, è bene che lo siano per tutti, anche per i giornalisti. Non si possono lasciare novemila giornalisti in una condizione di apartheid lavorativo, mantenendo in vigore – a differenza che per le altre categorie del lavoro dipendente, per le quali sono state introdotte le tutele crescenti – le norme sui cococo.
Quindi, riscrittura delle regole del gioco. Ma anche creazione di un sistema di welfare attivo rivolto ai lavoratori non dipendenti. La battaglia per la tutela del diritto d’autore non può non vedere i giornalisti al fianco degli editori: si tratta delle facce di una stessa medaglia. Se il lavoro giornalistico viene quotidianamente saccheggiato dai motori di ricerca e dai social network, rendendolo fruibile con facilità e senza il pagamento di alcun corrispettivo da parte degli utenti, il danno è duplice: per gli editori, che vedono vanificata la possibilità di realizzare ricavi e utili; per i giornalisti che pagheranno le conseguenze in termini occupazionali – come stanno già facendo – della contrazione degli utili. Non si tratta di invocare misure penalizzanti per la rete, ma di chiedere un adeguato corrispettivo. Si può discutere di misurazione del traffico e del fatturato pubblicitario dei motori di ricerca riconducibile all’informazione professionale? Si può discutere di tassazione degli utili derivanti dalla raccolta pubblicitaria dei motori di ricerca? Crediamo di si.
Allo stesso tempo, a governo, editori e giornalisti è richiesto un salto di qualità culturale. Il governo deve comprendere che l’informazione professionale va sostenuta. Non con finanziamenti a pioggia, che tanti guasti hanno provocato nel sistema, ma con finanziamenti e aiuti mirati alla creazione e alla salvaguardia dell’occupazione regolare e all’innovazione dei processi produttivi. Scriviamo insieme regole più restrittive, puntiamo sul rigore e sulla trasparenza. Va espulso dal sistema chi non rispetta le regole del gioco. Gli editori, dal canto loro, devono capire che va invertita la tendenza meramente ragionieristica dell’ultimo quinquennio. Non sono accettabili modelli produttivi in cui l’area del lavoro dipendente si riduce sempre di più e si pretende di fare informazione di qualità sfruttando eserciti di giornalisti precari, privi di qualsiasi tutela e garanzia contrattuale. L’informazione di qualità è un bene primario di ogni democrazia matura. Ma l’informazione di qualità presuppone l’esistenza di professionisti dell’informazione adeguatamente retribuiti, garantiti e tutelati. Se la prima libertà è la libertà dal bisogno, per i giornalisti lo è ancora di più perché è libertà da qualsiasi forma di condizionamento. Essere autorevoli significa studiare, puntare sulla formazione, ma anche essere in grado di leggere quella realtà e di interpretare quei cambiamenti che pretendiamo di spiegare quotidianamente agli altri. Voglio dire che non ci si può chiudere a riccio di fronte ad una rivoluzione tecnologica che richiede la continua revisione dei modelli organizzativi e un aggiornamento professionale continuo. Significa anche ricordare che ci sono diritti sacrosanti da tutelare, ma che ci sono anche doveri professionali da rispettare. Quella giornalistica è una professione che manda spesso in soffitta l’etica e la deontologia. Si deve ripartire da qui, dai doveri, dalla correttezza dell’informazione se si vuole recuperare credibilità. La riforma del sistema non potrà prescindere da una profonda revisione della legge professionale. Abbiamo bisogno di un’organizzazione professionale aderente alla realtà del mercato del lavoro. L’iscrizione all’albo non può infatti prescindere dall’effettivo esercizio della professione in modo continuativo o comunque prevalente. Ma rivedere la legge professionale significa anche dare certezza del diritto e della sanzione a coloro che finiscono vittime della cattiva informazione. A chi, anche in questi giorni in cui si discute di cancellazione e del reato di diffamazione a mezzo stampa e di nuova stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni, afferma che i giornalisti vogliono agire impunemente bisogna rispondere che la soluzione può essere in una proposta di legge già depositata agli atti del Parlamento: è la proposta che prevede la costituzione del giurì per l’informazione. Sarebbe non soltanto un salto di qualità, ma anche un segnale chiaro per dare credibilità alla professione e alla categoria. Soltanto la credibilità e la qualità possono dare autorevolezza e un senso al nostro lavoro, consentendo di tenere distinta l’informazione da quella massa indistinta di notizie, non sempre vere e verificate, che circola nella rete. Soltanto l’informazione di qualità e autorevole può alimentare quella circolazione di idee che è la linfa vitale di ogni democrazia. Tenere viva la nostra democrazia attraverso un’informazione autorevole deve essere interesse primario di tutti, in primo luogo dei soggetti che siedono al tavolo per l’editoria. L’alternativa è consegnarsi alla piazza. Ma la piazza è nemica dell’informazione e solo l’informazione è l’antidoto della piazza”.
Raffaele Lorusso