di MARIATERESA CALIENDO –

La città di Torino dice addio alle code agli sportelli, alle chiamate al centralino e alle ricerche interminabili tra gli uffici comunali.
Per ottenere queste informazioni, oggi, può bastare un post su Facebook o un tweet su Twitter. Inoltre esistono app create per tablet e smartphone.
La Torino in versione «2.0» è già una realtà, anzi, si scopre la città italiana con la maggiore sensibilità verso la cultura digitale per l’uso dei social network.
Gli account dei principali enti Comune, Università e Politecnico, sono i più seguiti da cittadini e studenti, rispetto a quelli del resto della penisola. In pratica, una vera e propria capitale «social». A promuovere i servizi offerti dal web non sono, quindi, soltanto eventi come il Digital Experience Festival, che per una settimana ha attirato esperti ed appassionati nel capoluogo piemontese. Lo confermano i risultati di alcuni rapporti, compreso quello realizzato da Giovanni Arata, giovane ricercatore freelance. Nel report #FacebookPA, presentato durante un seminario di Nexa, centro del Politecnico, Arata ha mostrato come la pagina ufficiale del Comune su Fb sia in testa alle classifiche per numero di fan, oltre 20 mila, cifre che ben fotografano la capacità di attrarre e informare i cittadini.
Non reggono il confronto gli altri grandi centri: nella top ten solo Genova tiene il passo, al secondo posto. Poi Cesena, Reggio Emilia e Cagliari. Milano ha 10 mila fan, Palermo 2 mila, mentre mancano le pagine ufficiali di Roma e Bari. Risultati simili se si prende in esame Twitter: l’account @twitorino, che fornisce in tempo reale notizie su viabilità, previsioni del tempo ed eventi, è il più seguito, con oltre 42 mila follower. Buoni numeri anche a Bologna, Venezia e Cagliari. Male Roma con 2 mila utenti e Milano con 5 mila.
Numeri alla mano, lo slogan «More digital for better life» («Più digitale per una vita migliore») a Torino sembra già una pratica ben diffusa.
Arata spiega il segreto: «Torino rispetta alcune regole essenziali: i cittadini hanno la certezza di ottenere risposte, anche tempestive. E gli aggiornamenti sono frequenti». La bacheca su Facebook è chiusa, ma i commenti sono liberi: «Così si mostra capacità d’ascolto», aggiunge. Senza dimenticare che il Piemonte, con la Lombardia, è tra le realtà più attive a livello regionale. A Torino, però, non è soltanto il Comune ad essere in testa alle graduatorie. Fabio Giglietto, ricercatore di Urbino, cura un osservatorio sull’uso dei social media da parte degli Atenei. E nel podio dei fan di Fb Torino occupa sia la prima posizione (Università, 21 mila) che il terzo gradino (Politecnico, 15 mila).
Il comune piemontese ha anche un canale YouTube, elabora diverse applicazioni utili come “mappaTO”, che crea cartine personalizzate e ha lanciato “apertTO”, portale sugli open data, per promuovere la trasparenza dei dati. Un buon biglietto da visita in vista della Social Media Week, il megaevento che coinvolgerà Torino e altre 13 città come Londra, Doha e Los Angeles, dal 24 al 28 settembre. È già partito il concorso «#InstagramYourCity», che premia le migliori foto realizzate usando la nota app. Ai torinesi non resta che twittare.

Giovanni Arata, giovane ricercatore freelance, in un’intervista esclusiva per Media Duemila, risponde ad alcune domande.

La Torino 2.0 sarà adatta agli anziani e agli “immigrati” digitali?
E’ ragionevole pensare che la Torino 2.0 sarà adatta agli anziani e agli “immigrati” digitali. E la chiave sta nella consapevolezza nell’uso del mezzo. Già oggi, infatti, i social media team di Comune capoluogo, Regione e Consiglio Regionale del Piemonte, per tacere dei numerosi Comuni della Provincia anch’essi presenti su Twitter e Facebook, esibiscono un grado di comprensione/competenza nell’uso delle piattaforme social superiori alla media, della PA ma anche di molte aziende. E sono, per questo, meglio attrezzate per accogliere e dare voce anche ai soggetti tendenzialmente meno alfabetizzati.

In merito al suo report, che fascia d’età ha contribuito allo sviluppo di una città più social? È merito “solo” dei ragazzi affamati di tecnologia?
In realtà le ricerche da me condotte si fermano ai parametri direttamente osservabili a monitor (ex: frequenza di update, impiego delle funzioni evolute, tasso di dialogo con interlocutori) per cui non sono in grado di offrire una stima analitica rispetto all’apporto delle diverse fasce socio- demografiche. Tuttavia, la frequentazione personale degli account mantenuta nel tempo mi consente di dire che no, non si tratta soltanto di ragazzi affamati di tecnologia. Anche perché sia sul versante di Twitter, dove l’espansione della piattaforma è dipesa solo in parte da fattori demografici, sia su quello di Facebook, ormai appannaggio di persone di ogni età, il contributo alla crescita social è venuto da più parti. Poi, certo, le persone più giovani sono spesso quelle che più promuovono l’innovazione: basti pensare alla storia di Grugliasco, dove il Comune sta ragionando sulla creazione di presidi social a partire dalle sollecitazioni di un ragazzo poco più che ventenne, Ruben Bianco [@irubb su twitter] che ha visto la mancanza dell’ente locale sui social media ed ha proposto direttamente al sindaco di muoversi.

Qual è la situazione italiana, in generale?
In termini generali la PA italiana è ancora poco presente sui social media. Lo dicono i numeri, anzitutto: circa 200 account su Twitter [dati 2012 su Comuni, Province, Regioni, Ministeri] e circa 1300 su Facebook [dati 2012 su Comuni, Province, Regioni]. Ma lo dice anche la competenza nell’uso del mezzo, mediamente piuttosto limitata a livello di PA locali: sono numerosi gli account aperti e poi abbandonati a se stessi, e frequenti i casi di amministrazioni che usano Facebook e Twitter come un megafono, senza dialogare con i cittadini né raccoglierne domande, segnalazioni, critiche. Detto questo, il quadro presenta anche alcuni elementi positivi: al di là dello specifico piemontese, senz’altro virtuoso, si segnalano diverse “buone pratiche” in amministrazioni grandi e piccole.

Quale regione risente di più il GAP tecnologico?
Su Facebook tutte le regioni trovano una rappresentanza più o meno numerosa, per cui il gap tecnologico non appare particolarmente incidente. Appena diverso il discorso per Twitter, dove fino a fine 2011 il Molise, ad esempio, non aveva alcuna “antenna” pubblica. Ma in generale, appunto, a fare la differenza non è tanto la dotazione tecnologica [banda larga, disponibilità wireless etc] quanto la sensibilità culturale dei decisori e, più ancora, degli operatori sul terreno. E’ ragionevole ipotizzare, infatti, che spesso gli account pubblici vengano creati in maniera più o meno “spontanea” da operatori singoli, senza che vi sia una pianificazione pregressa da parte dei decision makers locali.

Ha un consiglio da dare ai “governatori” che usano poco le tecnologie?
Essenzialmente due: non adottare le nuove piattaforme per inseguire l’effetto moda, ma soltanto se, e quando, riescono ad individuare un’utilità reale per la propria presenza online. E poi, nel momento in cui abbiano creato una presenza online, continuare a presidiarla nel tempo: perché la Rete tiene traccia di tutto, per cui un account mal gestito o abbandonato è un segnale di fallimento molto maggiore rispetto ad uno mai aperto.

Fonte

di Mariateresa Caliendo

media2000@tin.it

Articolo precedenteA Interoute il Premio ICMT 2012 Bonannini: ascoltare le aziende
Articolo successivoIl peggio deve ancora arrivare Primavera araba e petrolio