Sto studiando l’uso dell’Intelligenza Artificiale per selezionare le risorse umane. Secondo me è il punto di incontro e di metamorfosi tra l’IA e la persona umana. Le conseguenze del progresso irreversibile e inarrestabile di queste pratiche (e di tutte le altre applicazioni dell’IA agli affari umani) porteranno a un’industrializzazione della valutazione della persona, il cui risultato sarà in ogni caso una precisa spersonalizzazione a vantaggio dell’efficienza industriale. I candidati sono considerati strumenti adeguati o meno. L’intelligenza artificiale sta sostituendo il rapporto umano e l’intuizione nell’assunzione. Non sono in discussione i possibili errori della macchina o gli illeciti dei criminali informatici (contro i quali si sta comunque mettendo in piedi un intero apparato legale), ma lo status dell’essere umano stesso. Ricordo che più di vent’anni fa, i primi siti di incontri online offrivano liste di criteri e qualità o difetti che potevano essere selezionati per determinare la compatibilità desiderata di ogni potenziale candidato per una piacevole vita in comune (o un’esperienza più semplice). Anche se all’epoca era ovvio che questa poteva essere vista semplicemente come un’applicazione sistematica di pratiche comuni nella selezione dei partner, non potevo fare a meno di sentire una minaccia assordante di spersonalizzazione, poiché scegliere qualcuno secondo qualsiasi criterio era una tendenza egoistica che offendeva la mia sensibilità romantica. Da allora, naturalmente, l’ho ignorato, ma questa sensazione mi è tornata in mente quando ho letto sulle nuove pratiche del HR (risorse umane), il romanticismo meno ma con più umanesimo. Non è che io adori l’essere umano perché tende a comportarsi molto male, ma non sono pronto (ancora) a rinunciare alle mie braccia e ad acconsentire senza resistenza alla sua sfrenata industrializzazione, che purtroppo sta avvenendo, e questo da un punto di vista economico del tutto razionale, ma ormai superato dalle nuove circostanze introdotte dalla pandemia. Il problema che sollevo qui va ben oltre la questione del diritto e probabilmente anche dell’etica perché, alla fine, dovremo ammettere un giorno sempre più vicino che tutte le nostre buone intenzioni riguardo alla verifica delle procedure e delle pratiche di AI nelle assunzioni e in altre questioni si riducono a pii desideri di fronte al colosso digitale. McLuhan ha detto: “Cercare di proteggere l’identità privata dall’elettricità, equivale a cercare di nuotare contro un maremoto”. Beh, ok, ma poi cosa facciamo? La cosa interessante del diritto è proprio il fatto che ci affidiamo alla legge per imparare a nuotare nella corrente evitando di schiantarsi contro oggetti duri, ma alla fine tutto il paesaggio sarà cambiato.

 

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Derrick de Kerckhove
Direttore scientifico di Media Duemila e Osservatorio TuttiMedia. Visiting professor al Politecnico di Milano. Ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell'Università di Toronto. È autore di "La pelle della cultura e dell'intelligenza connessa" ("The Skin of Culture and Connected Intelligence"). Già docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II dove è stato titolare degli insegnamenti di "Sociologia della cultura digitale" e di "Marketing e nuovi media".