Nicola Piepoli ha introdotto la seconda tavola rotonda di discussione
“innovazione e sostenibilità nei sistemi sanitari”, Inventing for Life con i risultati della sua “Indagine Quantitativa sulla Popolazione Italiana”. I dati più significativi riguardano il fatto che, nonostante i ritardi e le liste d’attesa, quasi il 60% dei cittadini dello Stivale si dice soddisfatto del Servizio Sanitario Nazionale e tutti dichiarano che è fondamentale investire nella Sanità Pubblica. In particolare, per l’83% degli italiani, questo è il settore in cui risulta più importante investire per favorire l’innovazione, ancora prima dell’Educazione. Significativo è, inoltre, il fatto che tra le patologie in cui gli italiani vorrebbero vedere maggior investimenti, i tumori sono al primo posto, con ben il 69% delle preferenze, seguiti dalle malattie cardiologiche (28%) e neurologiche (26%). Non a caso i tumori, che sono le malattie mortali a più alta incidenza tra la popolazione, sono al centro della maggior parte delle politiche di prevenzione e dei programmi di ricerca. Ma non si fa abbastanza, è evidente. Come ha dichiarato Nicoletta Luppi, all’apertura dei lavori, “bisogna fare in modo che non sia la malattia ad avere l’ultima parola”.
Ma come possiamo rendere questo slogan una realtà concreta e sostenibile?
La tavola rotonda si è occupata proprio di questo: risorse investimenti e progettualità nel contesto nazionale. Moderati da Laura Chimenti, giornalista Rai, sono intervenuti Silvia Franceschi, Dirigente SOC Epidemiologia Oncologica, CRO di Aviano, Enrico Giovannini, Portavoce ASVIS già Ministro del Lavoro, Federico Spandonaro, Presidente di CREA Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità e Sergio Venturi, Assessore alla Sanità della Regione Emilia-Romagna.
Ha aperto il dibattito Silvia Franceschi ricordando che in Italia ci sono circa mille casi di tumori diagnosticati ogni giorno e che, allo stato attuale, la sopravvivenza media è di circa cinque anni. Ciò comporta una serie di conseguenze non sottovalutabili e dirimenti per il discorso in analisi. In primis, la consapevolezza che viviamo in una società con un numero importante di malati ma anche con un numero ingente di pazienti che sopravvivranno anni e che avranno bisogno di terapie, alcune anche molto specifiche e prolungate nel tempo. Ovviamente, visto che, come auspichiamo tutti, la ricerca continuerà a progredire, bisognerà di volta in volta rimodulare le terapie e i tipi di interventi oltre a dotarsi di nuovi strumenti. Tuttavia, oggi la prevenzione, l’epidemiologia e l’oncologia parlano tutte la stessa lingua, che è la lingua della biologia molecolare: non bisogna sottovalutare il fatto che tra una cellula sana e una malata non c’è una separazione netta, una specie di “muro di Berlino” che ci indichi in modo chiaro il momento della mutazione; pesino tra le cellule già malate le trasformazioni sono meno nette di quanto si potrebbe pensare. La conseguenza più interessante di questa premessa, per la dott. Franceschi, è la creazione di “pacchetti” che comprendano prevenzione, diagnosi precoce e trattamento di certi tumori. Quest’ultimi sono possibili grazie alla comprensione dei meccanismi del lungo processo che porta dalla cellula normale ai tumori. “L’esempio che mi sembra più evidente”, ha dichiarato l’epidemiologa, “è quello dell’Hpv, il cosiddetto “papilloma virus”: grazie all’isolamento del virus, alle ricerche specifiche, e ai test ripetuti, si è arrivati a licenziare il vaccino nel 2006. Due anni dopo questa cura era già disponibile in Italia, a ciò si unisca che quasi tutte le regioni italiane sono passate dal classico “pap test” a uno screening molto più specifico ed efficace. Così il “pacchetto” è quasi completo, mancherebbe solo l’aspetto preventivo, quindi un vaccino terapeutico. Ma è proprio di questo che parlo: integrando la ricerca e le innovazioni tecnologiche con quelle scientifiche si arriva a dei risultati concreti e significativi, per questo è importante la collaborazione tra tutti gli attori della sanità”.
Il tema dei finanziamenti è, giocoforza, tra i più sentiti. Le ricerche in campo scientifico richiedono mezzi e tempi che pochi sono in grado di sostenere ed è spesso la continuità a fare la differenza tra un successo e un insuccesso. Verte proprio su questo la domanda di Chimenti all’ex-ministro Giovannini, al quale viene chiesto se, visto che in Italia il finanziamento per l’assistenza sanitaria pubblica è inferiore rispetto ad altri stati europei, le risorse allocate sono adeguate.
“Il punto”, ha esordito l’ex-ministro, “è che è quasi impossibile rispondere a questa domanda. Io non lo so e non credo che nessuno lo sappia. Questo perché in Italia manca una visione concreta di un piano di sviluppo di welfare da qui a dieci/quindici/venti anni. Come possiamo dire se spendiamo troppo, poco o non abbastanza se non abbiamo le cifre esatte di quanto stiamo investendo? Inoltre, bisogna essere meno approssimativi quando si parla di innovazione: costruire un futuro diverso o incidere fattivamente sul presente, di questo abbiamo bisogno. Ma veniamo ai dati: secondo l’OCSE i paesi industrializzati avranno un tasso di crescita del pil dell’1,7% e molto probabilmente in Italia sarà addirittura inferiore, come si può garantire un sistema di welfare efficiente con queste cifre? O ancora, il mezzo milione di persone che muore in Europa ogni anno per malattie legate all’inquinamento, aumenteranno perché continueremo a usare il carbone o diminuiranno perché sceglieremo le energie rinnovabili? L’emigrazione: e non parlo di quella che riempie le prime pagine dei giornali oggi, ma l’emigrazione interna all’Europa dovuta ai cambiamenti climatici, quanto inciderà sulla vita sociale, in ultima analisi sulla salute e sulle politiche pensionistiche di Paesi come il nostro? È arrivato il momento di iniziare a riflettere su come potremo generare reddito a sufficienza per garantire il rinnovamento generazionale di cui abbiamo tanto bisogno? Ebbene, di fronte allo scenario che sembra attenderci, dominato da previsioni allarmanti, credo che sia il momento per il Paese di fare una scelta netta e di iniziare a considerare, mediante lo studio, l’esperienza e i calcoli le modalità per costruire qualcosa che prima non esisteva: cioè un sistema di welfare sostenibile. E non parlo solo di costi e investimenti ma di accessibilità ed equità”.
Del resto, sembra che l’innovazione stessa, come concetto, si costruisca. Senza un retroterra adeguato e un sistema preparato lo sviluppo non innova davvero in modo permanente o, perlomeno, non a sufficienza. Per questo Sergio Venturi, Assessore alla Sanità dell’Emilia-Romagna (una delle regioni che sta spingendo per l’autonomia in materia di spesa sanitaria), chiede con forza che le istituzioni riconoscano l’importanza dell’investimento nella Sanità Pubblica e che implementino la mole di spesa destinata alla salute dei cittadini, nell’ottica del solito discorso rivolto a un futuro prossimo che, se non analizzato con la giusta attenzione, appare difficile da gestire. In particolare Venturi, dal suo ruolo istituzionale, si sofferma sull’autonomia differenziata, insistendo sul fatto che i finanziamenti e le possibilità devono essere messi in campo dagli attori giusti ma è la società civile a dover creare il terreno fertile su cui tali iniziative possano prosperare. “Non bisogna”, ha dichiarato Venturi, “soltanto scandalizzarsi per le cose che vanno male, ma bisogna impegnarsi in prima persona per criticare attivamente e cambiare lo status quo”. Per questo l’Assessore chiede, a nome della sua Assemblea Regionale, un finanziamento importante di dieci miliardi al fine di cambiare stabilmente il rapporto dei cittadini con il Servizio Sanitario: “il punto è che se un farmaco allunga la vita di due mesi, non è un’innovazione vera che cambia l’esistenza; ma se un paziente vede la sua storia radicalmente modificata da qualcosa che prima non c’era, è lì che bisogna investire. Non c’è solo l’innovazione, c’è anche il grado d’innovazione, e questo non è secondario”.
In conclusione è intervenuto Federico Spandonaro, presidente di Crea, interrogato sulla giustezza o meno degli investimenti per l’innovazione nella Sanità. “Purtroppo bisogna partire da un problema: la Sanità in Italia è un mondo tremendamente autoreferenziale. Pur con tutti i risultati positivi non trascurabili che il nostro Servizio Sanitario è riuscito a conquistare nel corso degli anni, non ultima l’indagine pubblicata da tutti i giornali negli ultimi giorni sul fatto che i settantenni in Italia in realtà dimostrino sessant’anni di età biologica, la verità è che in questo momento mancano i fondi e, soprattutto, manca una visione. Non possiamo permetterci, come stiamo facendo, di rimanere fuori dal mercato mondiale. Sentiamo spesso dire che si spende tanto e si spreca tanto per la sanità, in realtà facciamo appena il minimo che ci permette di mantenerci a un livello accettabile. Credo che il tema centrale sia introdurre di nuovo il ragionamento sull’innovazione in un contesto più generale. Dirò di più, bisognerà ritenersi soddisfatti non solo quando l’innovazione sarà immediatamente accessibile in Italia, ma quando saremo proprio noi a produrre e ad esportare innovazione perché solo a quel punto potremo dire di aver compreso appieno il significato e il valore dell’innovazione per tutta la società”.