Stop agli egoismi nazionali: c’è il rischio di una guerra civile europea, Nord contro Sud su rigore e flessibilità, Est contro Ovest su apertura o chiusura; a macchia di leopardo per il ritorno, fin dentro il nucleo duro dell’integrazione, di populismi e nazionalismi. Emmanuel Macron parla a Strasburgo al Parlamento europeo in sessione plenaria e dice: “La risposta è l’autorità della democrazia, non è la democrazia autoritaria’.
Un discorso caricato di molte attese. Un bel discorso, come quello della vittoria, il 7 maggio 2017, o quello sull’Europa alla Sorbona, il 26 settembre. Ma pure molto criticato: da destra, per l’apertura; da sinistra, per il rigore; più parti, per l’allineamento sulla Siria della Francia all’America di Trump.
Da Berlino, la cancelliera tedesca Angela Merkel lancia una ciambella di salvataggio a Macron, che un po’ annaspa tra idealismo e realismo. “La Germania darà un proprio contributo autonomo… Troveremo entro giugno con la Francia una soluzione comune per la riforma della governance dell’eurozona … Metteremo in piedi un pacchetto forte”. Sul tavolo temi come difesa comune, diritto d’asilo, solidità finanziaria, unione bancaria, bilancio Ue 2020/’27.
Nel dibattito che segue il discorso, numerosi europarlamentari contestano l’attacco sulla Siria fatto da Usa, Gran Bretagna e Francia. Macron s’infiamma, rivendica l’azione, va oltre: “Non abbiamo dichiarato guerra a nessuno”, ma “abbiamo salvato l’onore della comunità internazionale”.
A Strasburgo, il presidente gioca in casa, perché è Francia, perché è Europa. Ma negli ultimi tempi il clima per lui s’è deteriorato, a Parigi e nelle sedi dell’Unione, dove, tra fascinazione illiberali e tentazioni autoritarie, “guadagna terreno l’idea che la democrazia è condannata all’impotenza”. Senza “risposte chiare e forti”, senza riforme e più solidarietà, l’idea d’integrazione naufragherà.
Macron consegna all’Assemblea al discorso molto più realista e meno idealista dei suoi precedenti: c’è lo schizzo d’un disegno dell’Europa che verrà, ma c’è pure un campanello d’allarme, il richiamo a serrare le fila e un’appassionata difesa della democrazia liberale.
“Serve una nuova sovranità europea”, ripete il presidente, “per dimostrare che sappiamo proteggere i nostri cittadini: in questo momento la democrazia europea è la nostra chance migliore, il peggiore degli errori sarebbe abbandonare il nostro modello, la nostra identità, la democrazia rispettosa dell’individuo, delle minoranze, dei diritti fondamentali”.
Nazionalismi e populismi sono progetti che “indicano una strada che riporta alle spaccature di ieri”: “E’ comodo eccitare il popolo”, ma “non è il popolo che ha abbandonato l’idea europea”, minacciata “dal tradimento dei chierici” (che la dovevano custodire). “Rischiamo di diventare la generazione dei sonnambuli, che si prende il lusso di dimenticare quel che altri prima hanno vissuto”, la guerra.
Quattro i punti chiavi su cui lavorare e produrre risultati nel prossimo anno, prima del voto europeo del maggio 2019, per scongiurare la paralisi: il primo è l’immigrazione. “Il dibattito avvelenato sui migranti, sulla riforma di Dublino e il ricollocamento va sbloccato”, dice Macron, che propone finanziamenti europei alle comunità locali che accolgono e integrano i rifugiati.
Secondo, rilanciare la Web Tax come risorsa autonoma del bilancio europeo. Terzo, portare avanti il progetto delle Università europee ed ampliare il programma Erasmus. Ma, soprattutto, realizzare la riforma dell’Eurozona e completare l’Unione bancaria. L’eco che arriva da Berlino è positiva, ma è lì che il rilancio dell’unione economica s’è tramutato in stallo.
Se il presidente dell’Assemblea Antonio Tajani dichiara a Macron “piena sintonia”, la reazione dell’aula è moderata, se non tiepida. Il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, esclama “La Francia è tornata”, ma poi chiarisce che l’Europa non “è solo Parigi e Berlino. Siamo 28, domani 27 e perché il motore funzioni ci vuole anche l’apporto degli altri”, dice. Manfred Weber, capogruppo Ppe, tedesco, criticato per avere esaltato la vittoria di Orban in Ungheria, sottolinea: “La democrazia è più di un incontro tra la Merkel e Macron, non è dividere gli europei in buoni e cattivi”. Alla fine, metà dell’aula applaude in piedi il presidente francese, ma la fette di emiciclo occupate da euro-critici ed euro-scettici congedano Macron con un gelido silenzio.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.