Intervista a Giovanna Maggioni (UPA) sulla ricorrenza dell’8 marzo e sulla questione della parità di genere.
Come ha vissuto la questione della parità di genere agli inizi della sua carriera? Oggi riscontra molti cambiamenti?
Sicuramente negli anni si sono fatti molti progressi: se n’è parlato sempre di più e si sono raggiunti risultati importanti. A livello personale, devo riconoscere che non ho mai vissuto discriminazioni sul lavoro a causa del fatto che sono una donna. Anzi, quando ero agli inizi, appena uscita dall’università, entrai al “Corriere della Sera” insieme a un collega che aveva le stesse mansioni, dopo qualche tempo mi comunicarono che avevano scelto me ed ebbi il posto. Per fortuna non ho mai vissuto la mia femminilità come un fattore limitante, neanche in seguito, quindi non mi sono mai dovuta battere per vedere affermato il mio diritto a competere alla pari con gli uomini. Tuttavia, capisco che per molte altre lavoratrici questo problema esiste e costituisce una barriera importante. Allo stesso tempo c’è necessità di sempre più donne che abbiano voglia e volontà di conquistare posizioni importanti, di aspirare a ruoli di prim’ordine. In alcuni contesti difficili magari impiegheranno un po’ in più degli uomini ma alla fine, forse, riusciranno anche a resistere più a lungo.
E dal punto di vista sociale la vede allo stesso modo?
No, dal punto di vista sociale la questione cambia. Certi compiti e certi mestieri sono ancora affidati, quasi naturalmente, alle donne. Su alcune mansioni sembra quasi che gli uomini non siano neanche presi in considerazione: pensi, come esempio, alle badanti delle persone anziane. Questo tipo di associazioni, e ce ne sono moltissime, purtroppo vengono quasi spontanee ma è proprio una forma mentis del genere che andrebbe modificata, anche se è difficile. Forse c’è l’idea che nelle questioni più delicate una donna sia maggiormente adatta perché interviene con più trasporto, con meno egoismo potrei azzardare, anche se ciò non può divenire un alibi per chi delega senza neanche pensarci alcuni tipi di professioni al sesso femminile.
Crede che tali differenze sociali siano specifiche del nostro Paese o generalizzate su scala internazionale?
Mi sembra una tendenza più marcata nei paesi del sud dell’Europa e del mondo ma non sarei così ottimista neanche nei confronti degli altri stati. Forse in questo gli scandinavi sono davvero diversi da noi ma è difficile dirlo. Tendenzialmente, dovunque c’è ancora disparità.
Ma in Italia la situazione negli ultimi anni è cambiata molto.
È cambiata, ma non moltissimo. C’è ancora da fare, in tutti i sensi.