Le “Giornate di Studio Marconiane” hanno avuto l’obiettivo di rendere un convinto omaggio ad un grande italiano nel centenario dell’assegnazione del Premio Nobel per la fisica; ma anche di sollecitare le istituzioni, la comunità scientifica ed accademica, le forze politiche e sociali ad una forte mobilitazione a sostegno dell’impresa e del lavoro, della formazione e degli investimenti per l’innovazione e la ricerca.
Un ricercatore che fa impresa come Guglielmo Marconi era un eccezione nell’Italia di allora, ma in gran parte lo è ancora nell’Italia di oggi, dove il sistema produttivo da sempre soffre di un rapporto debole fra ricerca e impresa. Marconi capisce per primo la forza anche spettacolare della scienza e apre, con i suoi esperimenti, le sue fantastiche realizzazioni e la loro commercializzazione, la nuova era della comunicazione istantanea di massa, cogliendo un aspetto decisivo dello sviluppo: il rapporto stretto fra innovazione, prodotto e mercato.
La grandezza dell’invenzione di Marconi non sta tanto nelle elaborazioni teoriche sulle onde elettromagnetiche note, almeno in parte, alla comunità scientifica ed accademica dell’epoca, quanto nella sua capacità di aver saputo coniugare intuizione creativa e capacità imprenditoriale realizzando uno strumento rispondente ad un bisogno primario degli uomini, quello di comunicare gli uni con gli altri: la “fine della distanza”, cioè la radio.
Rispetto all’epoca di Marconi la funzione dell’imprenditore è divenuta via via più complessa. Accanto alla concezione del singolo individuo che, scardinando i precedenti equilibri consolidati, riesce a creare nuovi mercati e prodotti (tipica del capitalismo classico), emerge un ruolo imprenditoriale che consiste più nel sapere valorizzare ciò di cui si dispone che nel rivoluzionarlo. Questa differenza è dovuta essenzialmente ad un’innovazione tecnologica non più affidata all’eccezionalità ed eccentricità di un inventore, ma diventata prassi e patrimonio consapevole dell’intera società civile e politica per il suo altissimo valore sociale, portatrice di sviluppo e benessere.
Nel nostro tempo l’innovazione che è alla base della nuova imprenditorialità è sempre più legata alla capacità dei ricercatori di utilizzare in nuovi contesti invenzioni diverse anche se sviluppate da altri. Mi riferisco, ad esempio, ai nuovi brevetti dell’industria digitale, che non nascono quasi mai come frutto dell’invenzione singola, quanto piuttosto come innovativo mix di brevetti precedenti assemblati in modo nuovo. La figura dell’imprenditore-inventore, di cui Marconi è stato, a suo tempo, modello insuperato è ormai ridimensionata. Gli imprenditori di maggior successo sono oggi quelli più rapidi ed efficaci nell’individuare, riconoscere e sfruttare le invenzioni di altri, utilmente associando al progetto per la propria parte di competenza l’inventore originario. Quindi imprenditore moderno è colui che meglio degli altri sa sviluppare collaborazione, utilizzare risorse diverse combinandole e finalizzandole in un progetto di business che spetterà al mercato decidere se sarà destinato al successo o no.
Nell’odierna società della conoscenza, la ricerca scientifica è fattore primario per l’innovazione, la crescita economica, la competitività internazionale delle imprese. Ma a ben guardare, il ruolo fondamentale della conoscenza investe non solo la dimensione economica ma l’intera società, rimodellando in maniera profonda e incessante il dibattito culturale, etico, religioso e politico. Comunque, i due mondi della scienza e dell’impresa appaiono sempre più integrati, in un intreccio in cui la dimensione della comunicazione è fondamentale. In questo quadro, il brevetto è un modo per diffondere l’innovazione, al di là dei benefici economici ad essa collegati. Marconi, che di queste cose ha dimostrato di intendersene, depositò centinaia di brevetti.
Qualsiasi discorso sull’innovazione e sulla competitività oggi non può non tenere conto della difficile congiuntura economica che il mondo, l’Europa e l’Italia, attraversano. Ma proprio questa congiuntura deve indurre a ricercare soluzioni innovative, anche attraverso una riqualificazione dell’intervento pubblico, nella consapevolezza che gli investimenti nella ricerca sono gli strumenti più idonei per favorire la crescita di un Paese come l’Italia, che vuole stare tra i grandi ma, in realtà, deve ancora entrarci davvero.