“La quantità di informazioni condivise dagli utenti del Web raddoppierà ogni anno”. È realistica, secondo lei professor Marinelli, la cosiddetta “legge di Zuckerberg”?

Non è tanto importante verificare una legge, è importante la tendenza che esprime. Nei primi anni del Web era tecnicamente più complesso pubblicare e rintracciare le informazioni on line.Oggi con pochi click e senza alcuna competenza informatica si possono produrre user generated content, commentare e condividere informazioni. I sistemi di video sharing come YouTube e i social network sites come Facebook, vedono aumentare quotidianamente il numero e la qualità dei contenuti condivisi (foto, video, testi, commenti, giochi, etc.). Ma soprattutto sta crescendo in maniera esponenziale il tempo che le persone – teen e giovani adulti in particolare – dedicano a queste pratiche sociali on line. Insomma, se il primo Web era un ambiente in cui la pubblicazione di contenuti era separatadalla dimensione relazionale, la tendenza, cheidentifichiamo con l’espressione molto approssimativadi Web 2.0 (semplicemente per distinguereuna prima fase da una seconda fase), ècentrata sulla condivisione, sulla “cultura partecipativa”,come dice Henry Jenkins. Negli ambientidi rete si gestiscono le proprie relazionisociali, senza fare più grande distinzione fra quelloche avviene in presenza e quello che avviene online, e insieme alle conversazioni transitano e siscambiano contenuti e informazioni.

Davanti a Twitter, Facebook diventa una robada Diciannovesimo secolo”. Condivide questa affermazionedi Sreenath Sreenivasan, “guru” deinuovi media e docente alla scuola di giornalismodella Columbia University?

Su questo non sono completamente d’accordo.Penso che in questa affermazione sia nascostauna forzatura interpretativa che tende a vederei diversi social network come reciprocamenteesclusivi. Io penso, invece, che sia più opportunopartire dai bisogni sociali, non dalle tecnologiecomunicative. A questi differenti bisogni, chesono soprattutto relazionali, corrispondono diversetipologie di social network sites che ne consentonouna espressione.

Facebook, per esempio, è centrato sulla gestionedi network relazionali e amicali che originano daisingoli individui; consente di mettere in mostrae condividere le proprie espressioni identitarie edi osservare e commentare quelle delle personecon cui si è in contatto. Twitter, invece, è rapido

(come un sms), mobile, sintetico e tende a riprodurreuna gerarchia dove ci sono leader e seguaci:insomma c’è qualcuno che ha qualcosa da direpiù di qualcun altro. Twitter prevede che alcunisiano antenne, leader d’opinione, mentre Facebookè sostanzialmente orizzontale.

Twitter non lo usa nessuno e i giovani preferisconocontinuare ad inviare sms”. La relazione sui mediae gli adolescenti di Matthew Robson, il 15enne stagistadella società di investimento Morgan Stanley,ha scosso il mondo finanziario e i dirigenti di mediainternazionali…

Secondo me Twitter non è al momento unaroba per ragazzini. Intanto perché prevede tendenzialmenteun rapporto uno a tanti, mentrenegli sms la comunicazione è nella quasi totalitdei casi di tipo uno a uno. Insomma i due sistemiproducono comunicazioni radicalmente differenti.

Inoltre, a meno che tu non sogni di fareil leader fin da giovane, non hai alcun interessee non sviluppi competenze tali da gestire un networkdi seguaci. Non hai voglia di parlare semprea tutti (o quasi) i tuoi amici contemporaneamente.Meglio una conversazione con Messengero la rapida successione di sms che in qualchemodo la simula.

Lei utilizza i siti di social networking? Come tutelala sua privacy?

Utilizzo i social network sites moderatamente,per tenermi in contatto con i miei network relazionalipiù che per esprimere i miei stati d’animo.

Per quanto riguarda la privacy, ogni nuovocontesto tecnologico comporta ulteriori problemi.È stato così per il telefono mobile quindicianni fa o per il telefono fisso agli inizi degli anniSessanta. Anche quando parliamo al telefono,in un ristorante o sull’autobus, si pone il problema di riservatezza. Evitando banalizzazioni,è evidente che alla radice c’è un problema educativoe di acquisizione delle competenze d’usoindispensabili per gestire un network sociale sullaRete. Noto che in proposito gli errori più grandispesso li fanno gli adulti piuttosto che i ragazzi:è straordinario vedere come alcuni quarantennie cinquantenni lascino aperto il loro profilo nonricorrendo alle funzioni di filtro previste da Facebook.L’acquisizione di un livello di competenzaminima (ad esempio rispetto al diversogrado di apertura o di chiusura del profilo) è unaquestione che va affrontata e risolta fin da piccoli.Oserei dire a scuola, se non provvedono i genitori.C’è poi un altro grande problema rispettoalla privacy. Di Grandi Fratelli nascenti ce nesono potenzialmente tanti: Google tiene contodelle informazioni a cui accedo; YouTube dei filmatiche vedo; Facebook è proprietario delle galleriedi immagini che pubblico e non si capiscecosa faccia delle conversazioni personali o digruppo. A cosa serve tutta questa mole di datisui comportamenti e le preferenze delle persone?Serve ovviamente a elaborare profili, a capirecosa le persone fanno con i vari contenuti , adindividuare i gusti emergenti (il romanzo di potenzialesuccesso o il film che tira rispetto ad unaltro) o a capire in che direzione si muovono lepersone più innovative. Di per sé questo non èun delitto. È però necessario che le Autorità indipendenti(anche a livello internazionale) abbianoil potere effettivo di ispezionare il processodi trattamento delle informazioni, di preservarel’anonimato, di evitare la cessione non autorizzataa terzi, di esigere che i dati siano cancellatidopo un certo periodo di tempo.

Web 2.0 e ambito formativo…

Prima di tutto le istituzioni formative debbonoprendere atto che le tecnologie di rete rivoluzionanoradicalmente il modo di lavorare e di apprendere,perché si è costantemente immersi inun ambiente cooperativo, nel quale si condividonoinformazioni, contenuti, suggerimenti peraffrontare e risolvere problemi. Questo modo diacquisire e produrre conoscenza è totalmenteestraneo alle istituzioni scolastiche (primarie esecondarie) o confinato nei tempi dedicati alladidattica non curriculare. Le cose in parte cambianoall’università, almeno per quanto attieneal recupero delle risorse on line, ma non vieneintaccato, se non marginalmente, lo stile di apprendimento.Superare questa scissione è fondamentaleper superare la percezione di estraneite indifferenza che i ragazzi spesso manifestanonei confronti del modo di funzionare delle istituzioniscolastiche. E a poco servono le fughe inavanti – come la traccia proposta negli ultimi esamidi maturità – se non sono accompagnate daun ripensamento profondo che coinvolga la quotidianitdelle attività didattiche.

Nel processo formativo, inoltre, è fondamentaleanche la gestione delle pratiche relazionali. Moltescuole chiamano uno psicologo e lo mettono sedutoalla scrivania sperando che i ragazzi utilizzinolo “sportello” per parlare e provare a risolvere iloro problemi. È importante, invece, che gli insegnanti esplorino le possibilità di dialogo che gliambienti on line rendono disponibile, accettandodi mettersi in gioco e praticando uno stile di relazionepiù informale.

È vero che il mondo accademico è critico verso Facebooke Twitter perché esempi di comunicazionefutile? Ma Twitter cresce, allora può essere consideratoil social network del momento?

Come tutti i fenomeni esplosi sulla Rete anchei social network sites hanno un loro ciclo di vita.Prima c’è stato MySpace, poi Facebook, ora sembracrescere a dismisura Twitter. Io non so seTwitter dominerà nei prossimi anni; sono sicuroche le tecnologie di comunicazione di rete continuerannoa rispondere in maniera sempre piùefficace ai bisogni espressivi e relazionali dellepersone. Questi bisogni, anche quando trovano

espressione in cose apparentemente futili (giochini,tormentoni, scambi di abbracci o mazzidi fiori, adesioni a gruppi improbabili) vannopresi sul serio: dietro ogni futilità è nascosto unprocesso di proiezione identitaria.

La start-up Watchitoo, con sede in Israele e NewYork, ha messo a punto un servizio che permette adue o più utenti di guardare contenuti video contemporaneamente.Prima i blog, poi le communitye i social network, ora il social viewing…

È un fenomeno destinato a crescere soprattuttose accompagnato dalla sviluppo di reti di comunicazionea banda larga. Spesso si dice: ma a cheserve l’ampiezza di connessione a Internet? Labanda larga, lato impresa o pubblica amministrazione,serve ovviamente a velocizzare i processi,a coordinare l’attività delle persone, a favorirela condivisione di data base. Lato consumer,invece, penso che servirà soprattutto agestire contenuti multimediali, di tipo televisivoe non solo. La possibilità di vedere insieme qualcosae di commentarla in tempo reale amplia lagamma delle possibilità relazionali e risponde aun bisogno sociale che alcuni avvertono in modoforte: penso, per esempio alle community di fandelle serie TV. Mi auguro che processi del generenon siano ostacolati dai titolari dei diritti suicontenuti condivisi.

Potrebbe essere il mobile social networking il futuroprossimo?

Direi che questo è già il presente! Le pratichedi mobile social networking sono una realtà anchese permangono problemi di tecnologie ditrasmissione, affidabilità dei dispositivi palmari,tariffazione del servizio. Non è però l’unica praticasociale emergente cui prestare attenzione. Amio avviso occorre osservare in profondità le trasformazioniindotte dalle pratiche di multitasking.La pervasività delle tecnologie di accesso alle risorsedi rete consente di fare più cose contemporaneamente:mentre sto lavorando, invio unsms, ascolto musica, controllo il flusso della postae dei messaggi, verifico le ultime notizie, ecc…Le persone che nascono in un ambiente in cuiil mobile social networking è una pratica comunestanno sviluppando una capacità di attenzionedislocata che è sicuramente superiorerispetto al passato.

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