Un elemento di punteggiatura può cambiare il senso degli avvenimenti e questo è già noto dai tempi dell’antichità, a cominciare dai tempi della Sibilla Cumana e del suo “Ibis, redibis (,) non morieris etc”. Nel caso del libro di Alberto Contri, presentato recentemente alla Società Dante Alighieri a Roma, da un panel di grande spessore, la differenza la fa il punto interrogativo. “McLuhan non abita più qui?”, titolo dell’opera ha l’intrigante tocco di problematicità che non avrebbe avuto se l’Autore avesse tenuto fede all’iniziale intenzione di sintetizzarne i contenuti in un’apodittica asserzione “McLuhan non abita più qui” sic et simpliciter.
Suggeritore di questa apparentemente minima sfumatura – e, invece, importante cambio d’orizzonte – è stato il prefatore del saggio di Contri, Derrick de Kerckhove, al tavolo dei relatori, insieme a Bruno Ballardini, Paolo Conti, Domenico de Masi, Sabrina Florio e a una testimonianza finale di Annamaria Barbato Ricci, che ha realizzato, in appendice, una lunga intervista biografica ad Alberto Contri. Il quale ha dato prova di saper mescolare tutte le abilità conquistate nei 51 anni della sua vita lavorativa e relazionale sviluppando il fil rouge che ha guidato gl’interventi e concependo la teoria del progresso nella comunicazione umana rappresentata in una molla, inizialmente dalle spire ben distanziate e successivamente serratissime e quasi sovrapposte: 50.000 anni fa la nascita del linguaggio, nel 1500 a.C. quella della scrittura e nel 1455 d.C l’invenzione della stampa; dal 1800 in poi, invece, vi è stato un incessante sviluppo di scoperte e innovazioni (telegrafo, elettricità, fotografia, cinema, telefono, radio, tv, pc) che sono culminate negli anni ’90 con l’exploit del web.
“Siamo di fronte a molti fattori critici – ha detto Contri – trovandoci assediati da oltre un miliardo di siti; sotto una slavina d’informazioni ed il tempo che risulta eroso da attività che richiederebbero la nostra attenzione. I nostri neuroni, modellati dall’inizio dell’umanità pensante per realizzare un certo tipo di attività, sono iperstimolati e rispondono come possono, con una costante attenzione parziale, deleteria per la concentrazione. Si vive per frammenti, incamerando frammenti e restituendo coriandoli. Il paradigma della superficialità. Il dovere del comunicatore è ora di rimettere in sesto il tempo, restituendolo alle persone.”
Derrick de Kerckhove ha svolto, da par suo, una panoramica della situazione attuale di società e comunicazione, sottolineando come l’ormai ricorrente problema delle fake news – un nodo che ricorre dall’inizio dei tempi, ma che ora, nell’era della comunicazione totalizzante, pare sovrastare ogni altro – rappresenti un segnale neanche tanto debole del cambiamento della nostra civiltà. Nel libro, tale cambiamento viene dissezionato da Contri nei vari livelli, esplorandolo professionalmente, col senso di responsabilità sociale che ha inciso nel DNA, insegnandoci, in definitiva, a pensare criticamente. E ciò è fondamentale, essendoci conformati a delegare la memoria a lungo termine alla rete o al cellulare.”
Bruno Ballardini, docente universitario di comunicazione strategica, si è riferito ai giorni nostri come a un ‘media-evo’, causato dalla caduta dell’impero della comunicazione convenzionale e della pubblicità così come ci eravamo abituati a fruirla, causata dall’esplosione di un caleidoscopio di standard e mezzi tecnologici. “Se finora ci confrontavamo con media stabili grazie a regole ‘grammaticali’ stabili – ha sottolineato Ballardini – l’attuale fluidità dei media ci spinge verso paradigmi fluidi, facendo sorgere l’esigenza di un modello nuovo, che va affrontato con una strategia a cui dovremo educarci. Le nostre vite, per il prevalere di obsoleti interessi geopolitici, hanno ancora la velocità del petrolio, trattenendoci indietro in un momento in cui dovremmo, invece, essere approdati allo stadio dell’energia atomica.”
Sabrina Florio, presidente di ANIMA, l’Associazione che riunisce le aziende del Lazio per valorizzarne le attività in responsabilità sociale, ha rimarcato l’impegno svolto in questi anni per sviluppare l’impegno imprenditoriale verso le comunità e i territori. Un impegno ‘premiato’ dagli stessi consumatori che si stanno abituando a giudicare un’azienda, oltre che sulla qualità dei prodotti, anche secondo il parametro dell’apporto sociale.
Nell’annunciare di voler promuovere la diffusione del libro di Alberto Contri presso le aziende, anche per il valore delle 40 case histories contenute sul versante della pubblicità tradizionale e sociale – godibili grazie a un QR Code che permette di vedere all’istante sul proprio smartphone il video descritto nel testo – la presidente Florio ha espresso la volontà di organizzare una nuova presentazione per i soci di ANIMA, consapevole dell’apporto formativo dell’opera.
Paolo Conti, fra le colonne del “Corriere della Sera”, si è riferito anche lui al concetto della mancanza di tempo che affligge sempre più le nostre giornate, risucchiato dall’interconnettività esasperata del cittadino del XXI.mo secolo. “Nel settore giornalistico – ha detto Conti – tale fenomeno si registra fortemente, spingendo i lettori o i videoradioascoltatori verso un’informazione superficiale o ‘targata’: un modus operandi che non è del Corriere della Sera, che controbilancia tale tendenza, offrendo giornalismo d’inchiesta di qualità, perché il tempo è un fattore fondamentale per l’applicazione della vera professionalità e di un’informazione verificata. Nel libro di Contri si trova questa stessa attenzione e il tentativo d’insegnare al fruitore delle notizie come saper distinguere il grano dal loglio, cioè saper cogliere il vero, il giusto e il bello, un’abilità che richiede la disponibilità di tempo.”
Conti ha poi ricordato l’impegno sociale dell’Autore, oltre che nel suo ruolo di Presidente di Pubblicità Progresso, anche all’epoca in cui fu Consigliere di Amministrazione della RAI, allorché seppe interpretare rettamente la missione del servizio pubblico, comprendendo che non si può rincorrere acriticamente un gradimento abbassando sempre più la qualità dei programma. “La RAI deve saper fare analisi, rappresentazione della realtà, approfondimento, memoria – la concluso il giornalista del Corsera – e non inseguire la fiction perenne così lontana dal suo ruolo di servizio pubblico.”
Mimmo de Masi, con l’arguzia che è il suo marchio di fabbrica, ha definito la storia del mondo nell’alternanza di momenti di creatività umanistica con altri di creatività tecnologica, dichiarandosi entusiasta delle nuove tecnologie, amiche dell’umanità. Il suo intervento ha preso spunto da una frase dello scultore rumeno Constantin Brancusi: “La semplicità è una complessità risolta”, “partendo dalla quale – ha affermato de Masi – possiamo considerare la nostra realtà non il migliore mondo possibile, ma senz’altro il migliore in cui finora l’umanità è vissuta. L’unico punto critico è, come s’è detto, il tempo. L’umanità corre tanto senza un perché e sono felice di avere tempo circondato come sono da tanti imbecilli che corrono come formiche impazzite sostenendo di non averne. La gestione del tempo, però, richiede saggezza, e tipico della nostra epoca è l’uso sconsiderato che se ne fa per consumarlo. La casalinga americana che si lamenta di essere oberata di cose da fare, dispone di un numero di elettrodomestici tali che, nell’antichità, sarebbero valsi il lavoro di 33 schiavi!”
A proposito delle vituperate fake news che paiono il veleno dei giorni nostri, Mimmo de Masi ci ha ricordato che ci furono due grandi poemi dell’antichità che esaltarono proprio una bufala: l’Iliade e l’Odissea e la truffa del cavallo di Troia!
Fuoco d’artificio finale, il famoso docente di sociologia del lavoro l’ha offerto al foltissimo uditorio (due sale stracolme di persone) leggendo come l’informazione, persino quella serissima dell’antico giornale francese ‘Le Moniteur’, si sia conformata al modello dell’omaggio al potere. Esempio lampante lo sono stati i titoli che hanno accompagnato la fuga dall’Elba di Napoleone e la sua marcia di avvicinamento a Parigi, dal 9 marzo fino alla sera del 22 marzo, quando l’imperatore arriva alle Tuileries: si comincia il 9 definendolo ‘Mostro’ e il climax delle definizioni del fuggitivo prosegue con ‘Orco’ (10 marzo); ‘Tigre’ (11 marzo); ‘Tiranno’, quando giunge a Lione il 13 marzo; ‘Usurpatore (e siamo al 18 marzo, a 60 ore di marcia da Parigi)’. Il giorno dopo siamo a un più prudente “Bonaparte avanza a marce forzate”. Il 21 marzo ormai è ‘L’imperatore’; con l’apoteosi del titolo del 22 marzo: “Sua Maestà l’Imperatore è alle Tuileries, niente può superare la gioia universale”.
Insomma, sic transit l’in-gloria mundi. Oggi e 202 anni fa.