Un’informazione sempre più “fai-da-te” e sempre meno “mediata” da figure professionali, come editori e giornalisti?, oppure un’informazione dove la disponibilità on line di “troppi” documenti rafforza l’esigenza di selezione? Un’informazione sempre più gratuita, perché nessuno è più disposto a pagarla?, oppure un’informazione dove l’accesso è libero a spazzatura e pettegolezzi, ma dove la qualità, la tempestività, l’accuratezza, la completezza, l’affidabilità si pagano bene? Un’informazione, audiovisiva, ma non solo, che rinnega il servizio pubblico?, o che lo riscopre e lo rivaluta nel segno del mix tra autorevolezza / indipendenza della formula Bbc?
Sono alcuni degli interrogativi di fondo sul futuro dell’informazione e dei media: domande senza risposte certe da parte mia e forse senza risposte certe “tout court”. Del resto, i segnali che cogliamo nel presente sono incerti e spesso contraddittori.
Due esempi di incertezza e contraddizione. Il primo: l’informazione diffusa, affidata a blog e/o “citizen journalist”, è spesso vantata come più libera e democratica di quella tradizionalmente affidata a media e giornalisti; eppure, essa va sviluppandosi in una società in cui il “digital divide”, cioè lo spartiacque tecnologico, non solo fra generazioni, ma anche fra ceti e fra Paesi, è ancora fortissimo e minaccia di allargarsi.
Il secondo: la gratuità dell’informazione è stata finora un mantra dell’on line, con poche eccezioni, ma recentemente c’è stata un’inversione di tendenza netta. Dalla prassi dell’accesso libero, s’è passati alla scelta dell’accesso a pagamento, offrendo in pegno al visitatore una garanzia di qualità. A guidare il cambio di passo è stato Rupert Murdoch: il proprietario e uomo forte della News Corporation ha infatti annunciato l’estate scorsa che tutti i siti web dei suoi media faranno pagare agli utilizzatori l’accesso nel giro di un anno.
Qualche punto fermo, in questo panorama di incertezza e contraddizione, c’è, ma riguarda l’analisi del presente, non la visione del futuro: in tutto il mondo, i media tradizionali sono sotto attacco; e, in Italia, entro il 2010, un’intera generazione di giornalisti, i sessantenni del ‘baby boom’ post guerra, sarà “espulsa” dalle redazioni, in un processo di riorganizzazione traumatico, dove riduzioni dei costi e ringiovanimento dei ranghi non significano automaticamente e subito migliore efficienza e maggiore qualità.
Pochi dati per suffragare la crisi mondiale dei media tradizionali. Le vendite dei quotidiani in Usa continuano a calare e a ritmo accelerato, indica un rapporto dell’organizzazione no profit Audit Bureau of Circulation, che censisce la diffusione dei giornali a pagamento. Le vendite sono scese del 10,6% tra aprile e settembre di quest’anno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre nel semestre precedente il calo era stato del 7,5%.
L’unico quotidiano a crescere nella “top 25” dei più venduti (e appena dello 0,6%) è il Wall Street Journal, che è diventato il più diffuso degli Stati Uniti, superando l’ex numero uno Usa Today, la cui diffusione è calata di circa 400 mila copie al giorno, quasi un quinto del totale. Il New York Times, al terzo posto, scende sotto il milione di copie al giorno, con un meno 7,3%.
Fra le cause del crollo della diffusione, la migrazione dei lettori sul Web, la crisi, la diminuzione delle copie diffuse gratuitamente (per esempio sugli aerei), oltre al peggioramento della qualità innescato dai tagli di bilancio.
Sono decine i quotidiani statunitensi che hanno chiuso nell’ultimo anno. Arthur Sulzberger, l’editore del New York Times, quello che presagiva la morte del giornale su carta, dice che i quotidiani sono come il Titanic, transatlantici destinati ad affondare o a scomparire. Per salvarsi, devono trasformarsi in aerei.
Da marzo, è davanti al Congresso una proposta di legge “rivoluzionaria” per gli Stati Uniti, il Newspaper Revitalization Act: l’idea è dare aiuti ai giornali locali, facendoli diventare delle organizzazioni no profit, simili alle stazioni radio e televisive pubbliche. Studi recenti hanno dimostrato che, laddove mancano quotidiani che assolvano alla funzione di “cani da guardia” del potere, nelle città aumentano la corruzione nella gestione della cosa pubblica e il disinteresse del cittadino medio.
A fine settembre per la prima volta il presidente USA Barack Obama si è detto disponibile a studiare forme d’aiuto per quei quotidiani che si ristrutturino come fondazioni senza fini di lucro. Manca, però, un sostegno bipartisan all’ipotetico provvedimento: i repubblicani si sono tirati indietro.
C’è stato, invece, l’appoggio del mondo accademico: una ricerca voluta dal rettore della scuola di giornalismo della Columbia University, un documento di 36 pagine intitolato “The Reconstruction of American Journalism”, sposa la tesi dei sussidi ai giornali. E’ questo il futuro dell’informazione e dei media? Pare, piuttosto, un ritorno al passato. Ma, forse, non c’è alternativa.
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