I media digitali rappresentano oggi canali di comunicazione molto popolari, utilizzati da singoli e organizzazioni, che utilizzano queste nuove tecnologie in diversi momenti della loro vita quotidiana, sia online che offline, operando in diversi settori e contesti.
Tra i più utilizzati ricordiamo e distinguiamo blog o riviste on-line, social network, piattaforme di condivisione di contenuti, incentrate sulla condivisione di particolari tipi di contenuto, come i forum di discussione, costruiti attorno ad un interesse o ad un argomento ben specifico.
Nel settore della sanità pubblica, i media digitali e sociali sono integrati in modo sempre più frequente in programmi e campagne volte a informare o sensibilizzare il pubblico su temi concernenti la salute o per promuovere l’adozione di comportamenti.
Scopo primario dunque, è rafforzare e personalizzare i messaggi, raggiungere un nuovo pubblico e costruire una infrastruttura di comunicazione basata su uno scambio aperto di informazioni e la costruzione di efficaci campagne di salute pubblica.
Le ultime ricerche dimostrano però, che se da un lato sempre più interventi di comunicazione per la salute usano i social media, si sa poco rispetto ai loro effetti sui comportamenti.
Anche se il recente fenomeno comunicativo (online ed offline), analizzato da molti sociologi e giornalisti, cioè quello delle fake news, in riferimento ad esempio alla questione ancora aperta dei vaccini sui bambini in Italia e la possibilità (non ancora chiara) d’ iscrizione al percorso formativo scolastico, ha dimostrato, come ancora i media siano concepiti come ambienti contenenti informazioni ritenute attendibili.
In realtà i social media e l’overload informativo, che determina una continua interazione e flussi comunicativi online, evidenziano la scarsa consapevolezza, da parte di molti utenti, nell’utilizzo dei media digitali e tradizionali ed un basso livello di criticità nei confronti dei contenuti caricati e pubblicati in Rete.
E’ chiaro che, se tutti produciamo contenuti partecipando in maniera attiva, il rischio è quello di una bassa qualità della comunicazione e difficoltà di verifica della notizia.
L’ultimo rapporto Philips “Future Health Study 2016”, che ha intervistato un campione di oltre 2 mila pazienti tra 18 e 80 anni, ha dimostrato come noi italiani abbiamo una percezione positiva della nostra salute (58% degli intervistati), ma necessitiamo di continue rassicurazioni e conferme.
In media vengono effettuate 5 visite mediche all’anno e un italiano su cinque, ha dichiarato di aver trascorso almeno una notte all’ospedale nei tre mesi precedenti all’indagine.
L’attenzione al proprio benessere emerge anche dall’utilizzo di dispositivi tecnologici ad hoc, ad es. smartwatch ma non solo: ne possiede almeno uno il 45% degli intervistati, con elevato tasso di utilizzo (92%).
Gli indicatori legati all’attività sportiva e al fitness sono i più utilizzati.
Internet per tutti è una grande risorsa: l’85% dei pazienti intervistati cerca le risposte a una domanda di carattere medico online e il 55% legge le recensioni su un medico o un altro professionista sanitario prima di consultarlo.
Paradossalmente però, se da una parte i pazienti italiani sono attenti al proprio stato di salute e sempre più desiderosi di “cure connesse”, di informazioni immediate su tale argomento, ricercate autonomamente online, ciò che emerge negli ultimi 10 anni, è una crescente sensibilità al tema salute e maggiore attenzione alla figura del paziente.
Quest’ultimo infatti, diventa sempre più attento, sensibile, competente, con una conseguente espansione delle pratiche di salute: aumentano infatti i comportamenti preventivi.
Nuove concezioni di “paziente”,“sanità” e “salute” si riscontrano nelle scenario contemporaneo: è possibile parlare ora della figura del malato come un “soggetto attivo e partecipante” e di una sanità che “mette al centro la persona”, dove le esperienze di assistenza si rivolgono alle persone, non più come soggetti ammalati, ma nella loro interezza psicologica, fisica e sociale.
Un chiaro esempio di come l’assistenza sociosanitaria diventi a “misura d’individuo” è l’assistenza a domicilio.
Proprio perché si tratta di forme assistenziali che si sviluppano all’interno di spazi privati, è necessario lavorare su un tipo di rel-Azione che miri alla qualità della vita, restando attenti ai bisogni e alle esigenze individuali.
L’Italia si colloca, ancora oggi, tra i paesi più longevi del nostro pianeta e in virtù di questa tendenza, si richiede una nuova idea di assistenza alla persone e di comunicazione-relazione triadica tra medico-paziente-salute.
Assistere e curare, sono compiti impegnativi, che richiedono un elevato livello di professionalità: significa prendersi carico della complessità e della fragilità.
Nella cura degli anziani, in particolare, poche cose sono scontate, occorre sempre considerare ancora un “Oltre e Altro”.
Di conseguenza l’educazione gioca un ruolo rilevante sia come determinante sociale fondamentale, sia come strategia specifica (educazione alla salute e per la salute) nell’incrementare le conoscenze e le competenze della popolazione necessarie allo sviluppo e al mantenimento di una buona condizione fisica individuale e della comunità.
E’ importante che ciò che viene comunicato venga compreso pienamente da chi deve usare quelle informazioni per prevenire o per curare una malattia.
Troppo spesso, però, questo non avviene a causa sia del complesso stile comunicativo degli operatori sanitari, sia delle difficoltà di molti cittadini che non raggiungono livelli funzionali di literacy ed health literacy, ovvero hanno un scarso livello di alfabetizzazione sanitaria.
Ecco che il concetto di “umanizzazione delle cure” non è solo uno slogan, ma diventa una realtà che tutti possono toccare con mano, che mira a promuove un modo di fare Sanità che non si limita alla cura esclusiva di una patologia.
La stessa struttura ospedaliera, ad esempio, non può continuare ad essere concepito come ambiente del dolore, ma deve mostrarsi come luogo di speranza, dove il paziente è al centro del processo di cura e di assistenza e dove le sue necessità, anche emotive, vengono considerate.
La cultura della salute (health literacy) diventa sempre più una componente critica necessaria per agire in qualità di cittadini informati e competenti (anche digitalmente).
Con la rivoluzione digitale però, la sanità è diventato uno dei settori più importanti, in grado di ospitare l’innovazione e la tecnologia, nuove forme di comunicazione ed assistenza 2.0, ma, allo stesso tempo, ha fatto registrare l’aumento più elevato del numero di attacchi informatici.
La domanda, che sorge ora spontanea, è la seguente: quanto i nostri dati sanitari sono al sicuro?
Dall’esito di una radiografia o di una Tac, ai farmaci prescritti, qualsiasi dato potrebbe cadere nelle mani dei cyber criminali.
Il modus operandi è sempre più spesso legato al furto d’identità, in quanto permette poi l’acquisto di determinati oggetti, il pagamento di prestazioni mediche o l’acquisto di farmaci.
Le conseguenze possono essere rilevanti in termini di benessere del paziente, in quanto, nella maggioranza dei casi, i cyber criminali chiedono un riscatto vero e proprio e agiscono bloccando l’accesso ai dati o rivendendo i dati al mercato nero del “deep web”.
Il mondo della sanità, infatti, è diventato uno dei maggiormente colpiti dalle due tipologie di attacchi più devastanti: il “sequestro” dei dati e delle infrastrutture che vengono resi illeggibili e inutilizzabili.
Secondo, il furto di dati personali (comprese le cartelle cliniche).
Ciò avviene perché sequestrare i dati e le infrastrutture , significa, per le strutture socio-sanitarie, l’impossibilità di erogare i propri servizi e quindi mettere a serio rischio la salute e la vita delle persone.
Di conseguenza, è molto probabile che le vittime procedano al pagamento rapido del riscatto.
Nel mese di gennaio scorso, i Ministri della salute dei Paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) hanno invitato gli Stati membri ad adottare un sistema di regole comuni che consenta l’utilizzo e il riutilizzo dei dati sanitari per fini di pubblico interesse nel pieno rispetto della privacy delle persone.
La “Raccomandazione sulla governance dei dati relativi alla salute” (Recommendation on Health Data Governance) è stata adottata dal Consiglio dell’OCSE il 13 dicembre 2016, ma è stata resa pubblica solo dopo la sua approvazione da parte dei Ministri competenti, nell’incontro a Parigi.
L’obiettivo del documento è quello di offrire indicazioni utili a migliorare e rendere più efficiente il sistema sanitario nei Paesi aderenti all’organizzazione, favorendo la creazione di una piattaforma condivisa per la corretta gestione dei dati sanitari trattati per la salute pubblica, per scopi statistici e di ricerca scientifica, nonché per la fornitura dei servizi offerti.
L’OCSE ritiene che, se ben implementate nei rispettivi Paesi, le indicazioni contribuiranno anche a migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria e, di conseguenza, a sviluppare una società “in buona salute”.
Tali obiettivi dovranno però essere perseguiti promuovendo e tutelando le libertà individuali e la protezione dei dati personali, peraltro a carattere sensibile, di chi usufruisce dei servizi sanitari.
Buoncompagni Giacomo, 28 anni ,di Ancona. Laureato in comunicazione e specializzato in comunicazione pubblica e scienze socio-criminologiche. Esperto in comunicazione, analisi dei media e criminologia forense .Cultore e Collaboratore di Cattedra in “Sociologia generale e della devianza” e “Comunicazione e nuovi media”presso l’Università di Macerata , docente di “Comunicazione e criminologia “presso la Libera Università di Agugliano (AN). Presidente provinciale AIART Macerata, è’ autore del libro “Comunicazione Criminologica”ed “Introduzione alla cybercultura” (Gruppo editoriale L’Espresso,2017).