Il Parlamento europeo celebra i trent’anni del programma Erasmus: lanciato nel 1987, ha finora consentito a nove milioni di persone di studiare, lavorare e svolgere attività di volontariato all’estero grazie a borse di studio europee. L’Erasmus è uno dei programmi europei di maggiore successo, che dà il nome a tutta una generazione di giovani europei orgogliosi d’appartenere a questa comunità.
Il trentennale viene ‘festeggiato’ con conferenze, forum, conversazioni, dibattiti e mostre in tutti i 33 Paesi che vi partecipano – i confini di Erasmus vanno al di là delle frontiere dell’Ue e la Gran Bretagna che vuole lasciare l’Unione non lo vuole abbandonare -.
I presidenti della Commissione europea e del Parlamento europeo, Jean-Claude Juncker e Antonio Tajani, premieranno 33 partecipanti all’Erasmus, uno per ciascun Paese, e apriranno una mostra sull’Erasmus +, versione avanzata del programma europeo. Che è ben lungi dall’essersi esaurito e che ha s’alimenta anno dopo anno dell’entusiasmo di centinaia di migliaia di nuovi partecipanti.
Al successo di Erasmus si ispira il progetto #Media4EU, innovazione a sostegno dei media e dell’Europa, che il fondatore di EurActiv.com, Christophe Leclerq, ex funzionario europeo, imprenditore dell’informazione e visionario europeista, ha presentato la scorsa settimana a Roma, in un seminario alla Fieg. Il progetto, che gode già del sostegno di 60 media europei e di associazioni, esperti, accademici e di diversi parlamentari europei, è attualmente sottoposto alla valutazione della Commissione europea. Se l’Esecutivo di Bruxelles lo farà propria, la contaminazione positiva dei suoi effetti potrà farsi sentire in vista delle prossime elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale, nella primavera 2019.
L’idea guida è di affrontare, nell’ambito dello stesso pacchetto d’azioni e di iniziative, la crisi dei media, attraverso l’innovazione, e la crisi dell’integrazione europea, contribuendo alla formazione e alla crescita d’una generazione di giornalisti europei che abbiano fatto esperienze in redazioni d’altri Paesi e siano dunque divenuti capaci di non leggere gli eventi solo dal punto di vista nazionale o locale. L’Unione fa qualcosa per i media, favorendone e incoraggiandone l’innovazione architetturale e tecnologica, perché superino la crisi in cui si dibattono; e i media fanno qualcosa per l’Unione, fornendo ai cittadini un’informazione ‘sprovincializzata’ e, soprattutto, depurata di pregiudizi e diffidenze.
Stiamo forse per assistere alla nascita d’una prima generazione di giornalisti europei, che, al di là e nonostante differenze di lingue, di culture e di tradizioni, finiranno per il consentire la nascita d’una opinione pubblica europea. Che finora non c’è e senza la quale fare l’Europa è un’utopia.