Sono in molti a sostenere che tra le varie rivoluzioni attraversate dai media – crisi dei giornalidi carta, crollo delle entrate pubblicitarie dei maggiori gruppi editoriali e fenomeni comeYouTube che insidiano il mercato televisivo – quella dei social network, unita alla diffusione

dei telefonini “intelligenti”, è sicuramente la novità che sta sconvolgendo in modo più radicaleil mondo dei media…

Ogni qual volta una nuova tecnologia guadagna la scena, osserviamo puntuali fenomenidi eccitazione da parte degli operatori. Spesso tale stato di eccitazione risulta eccessivo ela nuova applicazione finisce poi per non dare i risultati sperati. Per uscire da questo stancorito, è necessario tematizzare la tecnologia in quanto fattore in grado dieuforizzarei rapportisociali: una sorta divitamina delle relazioni.Facebook, sotto questo punto di vista, mostradei caratteri interessanti anche se, a un’osservazione disincantata, non sfugge l’esistenza dipiattaforme che già lavorano a invecchiare velocemente questo social network site.Eppure ci sono degli elementi di novità:Facebookpare consentire percorsi di riappropriazionedi frammenti di socialità in uno scenario che sembrava caratterizzato da elementi esageratamenteindividualistici.

La postura che caratterizza la relazione che i soggetti sperimentano con le reti digitali èdi tipo individualistico, anche se alcuni elementi esteriori potrebbero far pensare al contrario.Pensiamo alla lettura del libro: anche se è possibile ipotizzare forme di lettura in pubblico,lo spazio percettivo ed elettivo di questa tecnologia è quello della solitudine.Una serena interpretazione teorica dell’ascesa delle applicazioni software declinate allagestione di relazioni sociali, può valorizzare l’analisi del fenomenoFacebookper renderepiù chiari i meccanismi percettivi delle tecnologie. La crescente maturità delle piattaformedigitali ci restituisce una figura di individualismo in un tempo in cui i media erano caratterizzati,invece, dalla dominanza pubblica (la televisione, il cinema, i consumi culturalidal vivo). Un tempo che ha vissuto di una imperante parola d’ordine: mettere in piazzal’animo degli spettatori – da cui deriva anche questa triviale corruzione del reality in cuiil cuore degli uomini viene letteralmente spiattellato in pubblico.

In questo momento di crisi dei tradizionali steccati interpretativi, la riflessione dellescienze sociali non ha ancora adeguatamente tematizzato il passaggio che proviamo adefinire in questi termini: per reagire agli eccessi di socializzazione, quella che la sociologiaamericana chiama l’ultrasocializzazione, gli uomini hanno inventato una tecnologia chearriva all’ultrapersonalizzazione.Se questo è il guado da attraversare,Facebooksi colloca nel mezzo e si svela come un potenteantidoto per gli aspetti eccessivi della privatezza, della privatizzazione del pubblico,e comincia a offrire una restituzione in termini di socialità. Sta ora alla ricerca, il compitodi operativizzare tale modello interpretativo – l’idea cioè cheFacebooksposti in avanti ilbarometro della socialità – per rendere conto di una piattaforma di comunicazione cheesplora la vocazione individualistica emblematica del digitale cercando una compensazionein termini di possibilità offerte alla costruzione di interazioni sociali.

Il “potere di condividere” (the power to share), su cui si basano Facebook e gli altri social network,sta creando seri problemi per la gestione della privacy.

La perdita della privacy è una cessione volontaria di sovranità da parte del soggetto;comportamento che osserviamo sia in persone scarsamente acculturate, sia in chi è protettoda una solida formazione (anche universitaria). L’idea della privacy come bene rifugioviene meno e quindi le persone, pur di avere il mitico quarto d’ora di notorietà, sonoanche disposte a perdere transitoriamente diritti di riservatezza per poi lamentarsene.

È bizzarro notare che spesso si crea un profilo suFacebook, e poi si deplora il cattivo usoche ne fanno gli altri, mostrando di non aver compreso la dinamica relazionale che è allabase dei social network sites. Le tecnologie offrono interstiziali margini di negoziazione:se il soggetto acconsente a una cessione di sovranità, a quel punto la sua personalità potressere condivisa con il pubblico.La domanda di privacy è il risultato estremo di un eccesso di pubblicizzazione del privato:i mezzi di comunicazione di massa hanno messo in piazza la vita delle persone. Di frontea un mondo che possessivamente va a recuperare temi e cascami dalla vita privata nascela necessità di proteggere i propri dati personali.Per rispondere a un legittimo bisogno di regolarizzazione di unambiente-frontieracherischia di lasciare troppo soli i soggetti, è indispensabile uno sforzo da parte del legislatore.

In questo senso, sarà necessario lavorare su alcuni principi generali che sappiano interpretare i fenomeni di lungo corso che sottostanno allo sviluppo delle reti, più che ingaggiareuna gara persa in partenza rincorrendo fattispecie concrete destinate a modificarsi al

prossimo aggiornamento del software.

La comunicazione su Facebook e sugli altri social network da un lato è apprezzata perchépotrà contribuire alla nascita di un nuovo modello di business on line, dall’altro lato vienespesso etichettata come futile e spesso pericolosa (se pensiamo alla privacy delle persone). Qualè la sua posizione a riguardo?

Gli opposti schieramenti dei tecno-entusiasti e dei tecno-fobici, raccontano di una congenitadifficoltà nel comprendere e indirizzare il cambiamento. Normalmente il mondo degliadulti, e puntualmente la politica lavorano a enfatizzare i rischi, mentre alcune minoranzesparse annunciano con vigore le possibilità offerte dalle tecnologie. Per comprendereappieno le ragioni e le forme del cambiamento attivato dal digitale è necessario superareil limite culturale che stressa l’interpretazione dei fenomeni al solo versante economico,anche se è su questo versante che osserviamo le modificazioni più evidenti. La gradualemessa a punto di pratiche comunicative ancorate a strumenti, servizi e prodotti economicamentequantificabili si basa, paradossalmente, su un processo di ridefinizione continuadei contenuti, degli stili, dei contesti, e sull’acquisizione di un valore specifico che trascende

sia quello della produzione sia quello della fruizione.

Facebook e Twitter sono ormai delle mode, dei must, soprattutto tra i giovani. Non c’è ilrischio che restringano le relazioni face to face (insomma, i rapporti reali)?

La componente più negativa diFacebooke di tutte le tecnologie simili è il fatto che imponganoalcuni rituali alle persone che vogliono sentirsi moderne. In questo senso è necessarioconsiderare le motivazioni che spingono i soggetti a iscriversi alla piattaforma. Ilfatto che alcune persone scelgano di aprire un profilo suFacebooksolo perché anche altrilo posseggono è un chiaro indizio di un deficit di personalità. Se l’adesione alla piattaformaè determinata dal bisogno di compiacere la moda del momento, è di fatto un errore e unindizio pericoloso di mal socializzazione; se il sito viene invece sfruttato per la sua capacitdi porsi come strumento per la gestione di relazioni mediate si può considerare parte diun positivo percorso di allargamento della propria personalità divenendoreale vitaminadi implementazione dei rapporti in tempi di crisi.

Secondo lei, al momento, Facebook è più una moda o più una vitamina?

Quando lo fanno gli adulti è prevalentemente una moda, quando lo fanno i giovani èprevalentemente una vitamina.

Cosa apportano al mondo della comunicazione social network e social media? È giustoservirsene anche in ambito professionale?

I social media sono fondamentali perché eliminano la possibilità che la gente continuia cullarsi nell’adagio delle comunicazioni di massa. Già questo basterebbe a dire che èun fantastico progresso. Dal punto di vista individuale e professionale non c’è bisognodi sottolineare che questo sia un passaggio ineludibile: non ci sarebbe concesso di osservarequesto straordinario momento di cambiamento – che va a modificare la cornice di sensolegata alle autorappresentazioni di una intera società – se non si spostassero i soggettipiù attivi. Ma chi sono i soggetti più attivi? Non sono solo i giovani, come ogni tantoi sociologi raccontano. Sono i giovani e quelli che devono darsi contenuti professionalipiù avanzati, persone non soddisfatte del lavoro che svolgono o delle prestazioni professionaliche mettono in campo e che per essere all’altezza della propria autorappresentazione

hanno bisogno di sfruttare tutte le energie disponibili per offrire al mercato unaprofessionalità più completa.

Qual è il rapporto tra il mondo accademico e le applicazioni del social web, social networksu tutti? In che modo la scuola, l’università, potrebbero utilizzare al meglio questi strumentiper avvicinarsi ulteriormente al mondo degli studenti?

Questa è una dimensione che l’università non deve lasciarsi sfuggire. Se noi siamo statiattenti alle vecchie dimensioni tecnologiche prima maniera, non possiamo farci sfuggirequella che è più vicina a una rinascita, a una riconfigurazione del Web 2.0, cioè una speciedi allargamento sociale delle possibilità della Rete. Questa deve essere una sorta di vocazioneper l’università. La facoltà di Scienze della Comunicazione sta portando avanti differentisperimentazioni volte a operativizzare alcune questioni chiave per la comprensione deisocial network sites: il ruolo delle piattaforme nella gestione delle amicizie on line; ilrapporto tra interazioni mediate e immediate; la costruzione dei profili suFacebookcomeforma di autorappresentazione del sé. Sul versante della comunicazione istituzionale, piattaformecomeFacebookpossono essere utilizzate come un’opportunità per la creazione egestione delle relazioni con gli studenti: anche su questo versante stiamo lavorando. Volendo,però, fare considerazioni più generali è necessario sottolineare che questa volontà di attivismoculturale che la mia facoltà interpreta, non si inserisce in un quadro organico di interventidi ricerca pubblica. Se l’università sta cercando di farsi interprete degli scenari di cambiamentodi cui i social network sites sono l’esempio più evidente, è noto il caratteristicoritardo della politica, pronta acolonizzaresecondo logiche vecchie, piattaforme che impongonoun radicale ripensamento delle strategie di comunicazione.

Una delle tracce dell’ultimo esame di maturità ha riguardato i social network. Uno studentesu tre ha svolto questa traccia. È la dimostrazione dello stretto legame tra giovani e social web?

Non condivido questa lettura, anche se mi è familiare l’enfasi che è stata posta sulla citazione di de Kerckhove. A mio avviso questo è un paradosso che attesta l’arretratezza della scuola italiana. L’esplicito ricorso a una retorica vicina alle culture giovanili è il naturale proseguimento di un’attività che abbia saputo presidiare tali culture lungo tutto il percorso formativo. Se durante l’attività formativa è stata rivolta un’attenzione critica al rapporto tra studenti e nuovi media –Facebooke gli altri social network – allora è sacrosanto che la traccia del tema di maturità sia testimone del percorso svolto, valorizzando la citazione colta di cui abbiamo detto. Se c’è soltanto l’occhieggiamento delle mode, la stessa scelta diventa segnale evidente di arretratezza: unagguato teso alle culture giovanili, perché la scuola non ha fatto niente per educare quelle competenze che poi pretende di valorizzare con la logica dell’ultimo momento. In questo senso, è stato un brutto passaggio del finto cambiamento della scuola italiana.

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