di GIAMPIERO GRAMAGLIA

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Il 2011 dell’Unione europea è nato sotto il segno della difesa della libertà di stampa e d’espressione. “Bene!”, viene da esclamare, perchè minacce, attacchi e limitazioni alla libertà di stampa e d’espressione sono ordine del giorno in tutto il Mondo: dall’Iran alla Cina, dai regimi post-comunisti dell’Asia centrale ai Paesi arabi più conservatori, arrivano quasi ogni giorno notizie allarmanti, specie per quanto riguarda gli strumenti di comunicazione on line, che non hanno frontiere.

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Questa volta, però, l’attacco alla libertà di stampa e di espressione che preoccupa l’Unione europea nasce al proprio interno, anzi viene proprio dal Paese che assicura, nel primo semestre, la presidenza di turno dei lavori del Consiglio dei Ministri dei 27, l’Ungheria.

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Pochi giorni prima di assumere, per la prima volta nella sua storia, la guida dell’Ue, sotto Natale, il governo di Budapest ha infatti varato, con il sostegno del Parlamento, dove gode di una larga maggioranza, una legge che l’opposizione ha subito denunciato come un “bavaglio” e che ha immediatamente suscitato dubbi e sospetti nella Commissione europea e nel Parlamento di Strasburgo. Una disposizione, soprattutto, appare criticabile e contestabile: quella che affida il controllo della correttezza dei media a una commissione politicamente controllata dal governo e dalla sua maggioranza.

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La reazione di Bruxelles è stata estremamente rapida, rispetto agli standard consueti: richieste di chiarimenti alle autorità di Budapest, messe in guardia, anche una raffica di dichiarazioni politiche a tinte forti. Poi, le cose si sono messe sui binari tracciati dalle procedure comunitarie. La Commissione, rappresentata dalla vice-presidente Neelie Kroes, olandese, responsabile della concorrenza, ha formalmente avviato uno scambio di lettere serrato con il governo di Budapest, prima tappa di un contenzioso che può sfociare in una procedura d’infrazione, ma che pare indirizzato alla ricerca d’un punto d’intesa.

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E il Parlamento ha prima organizzato un’audizione di fronte alla Commissione che sorveglia il rispetto delle libertà fondamentali nell’Unione europea; e ha poi indetto, in gennaio, un dibattito in plenaria, dove, però, i calcoli partitici hanno, in qualche misura, preso il sopravvento sulle valutazioni politiche, perchè il partito al potere in Ungheria fa parte del Ppe, il Partito popolare europeo, dove c’è pure il Pdl. Scenario che rischia di ripetersi nella sessione di febbraio: i verdi e le sinistre a premere, temendo una “timidezza” della Commissione, e i centristi a frenare.

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Il presidente della Commissione José Manuel Durao Barroso ha personalmente sollevato il problema, quando ha incontrato a Budapest, il 7 gennaio, il premier ungherese Viktor Orban, un tipo tosto, conservatore, nazionalista, tuttora calciatore con grande passione, e tutti i suoi ministri. E Barroso ne ha pure parlato al Parlamento e in conferenze stampa.

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Agli interlocutori ungheresi, e a tutti gli altri, Barroso ha ricordato che “il principio della libertà della stampa è sacro nell’Unione europea” e che “il pluralismo dei media è parte fondamentale del nostro modo di vedere la società europea”. Nello specifico, sulla legge ungherese, la Commissione conduce le sue valutazioni giuridiche. Ma ci sono anche considerazioni politiche, che Barroso non ha taciuto: “Sugli aspetti legali, saremo, come dobbiamo essere, estremamente rigorosi. Ma, perchè la sua presidenza sia un successo, l’Ungheria deve fare in modo di assicurarsi una percezione positiva e il pieno appoggio e il totale rispetto di tutti gli Stati Ue e delle Istituzioni europee”. E, di qui, la richiesta al premier Orban e al suo governo di “prendere tutte le misure necessarie perchè sia inequivocabilmente chiaro a tutti, dentro e fuori il Paese, che l’Ungheria è una democrazia e uno Stato di diritto”.

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Barroso e la Commissione hanno finora ottenuto l’impegno del premier e del governo a modificare la legge, qualora, dall’esame della Commissione, ne risulteranno forzature o violazioni ai principi di base dell’Unione. Pericolo sventato, dunque? Ci sono segnali incoraggianti, anzi sono già arrivate da Budapest ipotesi di revisione, ma resta da vedere come va a finire il confronto: il rischio è di ridurlo ai minimi termini giuridici. La guardia della libertà di stampa e di espressione va tenuta alta, perchè “leggi bavaglio” ne stanno spuntando qua e là in Europa, non solo in Ungheria – noi, qui in Italia, lo sappiamo bene -: una tentazione, quella della museruola alla stampa, che neppure secoli di democrazia spengono del tutto in chi esercita il potere; figuriamoci, là dove la democrazia è più recente e ancora “fresca”.

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Giampiero Gramaglia

Direttore Agence Europe

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