Con questa domanda abbiamo chiuso il blog precedente. E invitiamo a riflettere: è giunto il momento di passare dalla democrazia rappresentativa a quella veramente partecipativa? Secondo alcuni la democrazia rappresentativa non può e non deve essere sostituta. Abbiamo parlato con Sebastiano Sortino, già consigliere AgCom, prima direttore generale Fieg e dopo una lunga riflessione la conclusione ci porta a non dare tutto per scontato. Il voto espresso tramite Twitter o Facebook non può essere paragonato al voto in un’urna che impone la scelta di qualcuno che ti rappresenti.
In ogni caso è utile osservare che i politici oggi non possono più mentire attraverso il canale dei giornalisti accreditati presso le istituzioni che fino a qualche anno fa possedevano il monopolio della diffusione della notizia. I giornalisti embedded sono sempre esistiti, cosi come politici ammaliatori, dunque non sempre si tratta di mala fede.
Per noi è il momento di ripensare senza esagerare, seguendo un percorso democratico che, come ha detto il Presidente della Repubblica, non può e non deve prescindere dalla Costituzione e dal rispetto delle istituzioni. In questi giorni gli articoli che hanno promosso la riflessione su come siamo arrivati sino qui, sono stati espressione di un ottimo giornalismo di cui non si può fare a meno perché la politica ha bisogno di un discorso costruttivo, critico e non semplicemente emozionale.
Uno scenario possibile potrebbe dare voce alla gente educata al dibattito critico. Come fare?
1. I twitteranti esprimono opinioni e desideri attraverso i tweet.
2. Se non si risolve il problema e la situazione è delicata, gli stessi twitteranti scelgono il loro porta-parola.
3. Il porta-parola incontra chi deve dare risposte in Rete, alla radio, sulla Tv, e sulla piazza pubblica. La discussione viene seguita da tutti. Il dibattito è pubblico.
4. La gente vota ogni passaggio con i tweet.
5. Il governo prende in considerazione le indicazione del voto a favore e contro.