“È fondamentale un impegno collettivo per creare un ambiente digitale sicuro e costruttivo”. A parlare è il professore Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione nazionale Dipendenze tecnologiche, Gap e Cyberbullismo “Di.Te”. Abbiamo intervistato Lavenia a seguito della denuncia formale, da parte della città di New York, contro le aziende Google, Meta, ByteDance e Snap, responsabili delle piattaforme social media TikTok, Facebook, Instagram, YouTube e Snapchat.

L’amministrazione della Grande Mela ritiene i social media responsabili di aver peggiorato la salute mentale di minori e adolescenti. Ciò sarebbe avvenuto attraverso l’uso di algoritmi che generano contenuti che trattengono gli utenti a lungo sulle piattaforme e ne incoraggiano l’uso compulsivo con meccaniche simili al gioco d’azzardo. L’azione legale ha due obiettivi: un risarcimento in denaro ancora non quantificato; il riconoscimento che la condotta delle piattaforme sia dichiarata un problema collettivo da eliminare.

Dottor Lavenia, la città di New York ha aperto una causa contro diverse piattaforme di social media. New York City ritiene responsabili queste aziende di aver peggiorato la salute mentale di minori e adolescenti. Cosa pensa di questo provvedimento?

La mossa di New York di portare in tribunale le piattaforme di social media è non solo audace ma necessaria. Le evidenze suggeriscono un legame tra l’uso eccessivo dei social e il deterioramento della salute mentale nei giovani. È giusto che queste aziende siano chiamate a rispondere delle loro azioni, specialmente quando si tratta di pratiche che possono esacerbare problemi come ansia e depressione tra gli adolescenti.

Si tratta certamente di un caso di studio che crea un precedente molto importante. È la strada giusta? Altri Enti seguiranno lesempio di New York?

Questo processo segna un momento cruciale. Se New York riesce a stabilire un precedente, potrebbe spingere altre città e paesi a prendere misure simili, aumentando la pressione sulle piattaforme di social media per rivedere le loro politiche e pratiche. Non si tratta solo di una questione legale, ma di un movimento più ampio verso la responsabilità sociale delle aziende tech nel proteggere i più vulnerabili.

Uno dei punti su cui ci si è soffermati nel motivare la decisione è rappresentato dal concetto direciprocità”, ovvero la spinta, particolarmente intensa tra gli adolescenti, che ci fa sentire obbligati a rispondere a unazione positiva con unaltra azione positiva. È vero che i social sfruttano questo fenomeno?

Il concetto di reciprocità è astutamente manipolato dai social media, sfruttando la tendenza naturale degli adolescenti a voler “ricambiare” interazioni, spingendoli a una costante partecipazione online. Questa dinamica può facilmente tradursi in una pressione incessante che alimenta ansia sociale e dipendenza dai social, evidenziando come queste piattaforme siano progettate per trarre vantaggio da comportamenti compulsivi.

Alla base della decisione della Grande Mela sembra esserci anche unimportante spesa pubblica: la città spenderebbe ogni anno più di 100 milioni di dollari in programmi e servizi dedicati alla salute mentale dei più giovani. In Italia, secondo i dati a sua disposizione, la situazione in proporzione èsimile?

La cifra spesa da New York in servizi per la salute mentale dei giovani è allarmante e riflette un problema globale. Anche in Italia, pur mancando dati precisi, la situazione non è rosea. L’investimento in servizi di supporto per la salute mentale è indispensabile, ma è altrettanto cruciale affrontare le cause alla radice, compreso il ruolo dei social media nel peggiorare la situazione.

I social media rappresentano comunque una trasformazione importante sotto il punto di vista della comunicazione e della libertà di pensiero e di espressione. Come si coniuga a questo la necessità di proteggere minori e adolescenti? Quali azioni andrebbero intraprese dalle parti?

Nonostante i social media abbiano rivoluzionato il modo in cui comunichiamo, è imperativo mettere in campo strategie per tutelare i minori. Ciò include educare i giovani sull’uso critico dei social, ma anche imporre alle piattaforme di adottare misure di sicurezza più stringenti, come filtri per l’età e contenuti appropriati. Inoltre, è fondamentale che vi sia un impegno collettivo, che coinvolga genitori, educatori e policy maker, per creare un ambiente digitale sicuro e costruttivo.

 

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Francesco Ferrigno
Giornalista, esperto di comunicazione, copywriter. Laureato in Scienze della Comunicazione e successivamente specializzato in digital journalism e content marketing. Collabora con diversi quotidiani, portali web e agenzie di comunicazione, tra cui Media 2000, Antimafia 2000, iGv Network, Il Mattino.