Malgrado l’attenzione del grande pubblico sia focalizzata sui vincitori del Festival di Sanremo o su Daria Bignardi paracadutata a dirigere RAI Due, ogni tanto essa viene disturbata da quegli eventi dirompenti che infrangono la barriera del gossip e del chiacchiericcio fine a sé stesso. Ad esempio, la tragica uccisione di Giulio Reggeni oppure le stragi parigine al Bataclan o alla redazione di Charlie Hebdo. E allora tutti a mettere su FB bandierine a lutto o a postare foto di vittime, per poi ‘distrarsi’ tre giorni dopo.
Può persino avvenire che qualche Internet addicted s’imbatta in uno strano omaccione barbuto che proclami uno Stato islamico o distrugga siti archeologici, lanciando filmati cruenti con vittime decapitate e bambini trucidati.
E, poiché ciò avviene non certo lungo il tracciato dell’Autostrada del Sole, ce ne preoccupiamo, ma mica poi tanto, appassionandoci di più alle polemiche sulla legge Cirinnà e sulla strage economica di orfani e vedove, determinata dalla paventata abolizione delle pensioni di reversibilità.
Eppure, persino all’altra parte del Mediterraneo, in Libia, che dista dalle nostre coste praticamente uno ‘sputo (come Gheddafi il 15 aprile 1986 ci dimostrò con un attacco missilistico a Lampedusa) per non parlare in un’area mediorientale che non è certo agli antipodi dall’Italia, sta dilagando quello Stato islamico che fa proselitismo continuo e potrebbe avere le sue quinte colonne fra i nostri immigrati di seconda o persino terza generazione. E per nostri non intendo solo l’Italia: il fenomeno è ben più marcato in altri Paesi europei, senza escludere che possa esserci il rischio contagio.
Non guasta, dunque, conoscere e capire. Cosa che aiuta moltissimo a fare il libro del Viceministro agli Esteri Mario Giro: “Noi terroristi. Dal Nordafrica a Charlie Hebdo”, opera che, fra l’altro, focalizza i ‘ragazzi perduti’ che vollero rendersi terroristi. A differenza di una miriade di pubblicazioni che riguardano l’IS e le sue radici visti nei loro territori, il libro di Mario Giro guarda anche alla realtà italiana e europea, raccontando i prodromi sociali del reclutamento e smentendo la facile favoletta dell’illuminazione sulla via di Damasco di questi neo-radicalizzati (la metafora geografica pare calzante…).
Il libro ha avuto una coinvolgente presentazione a Roma, presso la Biblioteca dell’Istituto Affari Internazionali con un panel di spessore: il presidente e il vicepresidente dello IAI, Ferdinando Nelli Feroci e Vincenzo Camporini; Maurizio Caprara, editorialista del Corriere della Sera e già responsabile della Comunicazione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e Azzurra Meringolo, ricercatrice presso lo IAI.
Dai loro interventi, dalle notazioni del pubblico e, soprattutto, dagli approfondimenti dell’Autore, assai esaustivo e dettagliato nelle sue notazioni, è scaturito un affresco della situazione il cui puzzle è noto ai lettori di Esteri nei media (e non sono una marea, dati alla mano) soltanto per alcuni tasselli di un puzzle ben più complicato e che, invece, il libro presentato aiuta a decrittare.
Perché Giro, nel suo testo, sa intrecciare più dimensioni della questione, affrontandola sotto i profili storico, sociale, economico, antropologico, geopolitico, aggiungendovi anche l’analisi psicologica dei singoli, in particolare due di quei cosiddetti ‘ragazzi perduti’. A consentirgli uno sguardo a raggio così ampio sono sia la sua formazione culturale, sia l’aver operato per gran parte della sua vita nella Comunità di Sant’Egidio, a sostegno di quelli che sono definiti ‘gli ultimi’.
Era prevedibile la deriva che ha portato al precipitare degli eventi fino alla creazione del IS, lo Stato islamico capeggiato da al Baghdadi? A buoi scappati dalla stalla, in tanti dicono di sì, rilevando sottovalutazioni e miopia istituzionale.
In realtà, secondo Giro, si è saldata una situazione di marketing della rivoluzione, giacché nel ‘supermercato delle proteste’ gli scaffali si erano vuotati dei ‘classici’ prodotti dell’insorgenza ormai ‘scaduti’ come il marxismo, il leninismo, l’anarco-insurrezionalismo e, dunque, a disposizione della ‘clientela’ a-sociale, che si sente emarginata, è rimasto il monopolio di un ribellismo che si veste del comodo alibi di una religiosità pret à porter.
Fra le varie suggestioni emerse, alcune smuovono brucianti punti nevralgici: la trincea della scuola, che dovrebbe rendere i soggetti deboli ‘impermeabili’ alle sirene dei reclutatori; il pericolo di quartieri ghetto dove è più facile che possa ‘radicarsi il radicalismo’; l’ormai asseverata teoria che la nascita dell’IS non è determinata da una radicalizzazione dell’Islam, bensì da una islamizzazione del radicalismo; ovvero da un’islamizzazione dell’antagonismo, che si veste del manto di un’antica religione, per impadronirsi di un mantello di storia…
Tutto ciò, inoltre, sgombra il campo da ogni costruzione fantastica di scontri di civiltà. D’altronde, basta guardare alla nostra, di civiltà: cosa accomuna il Tea Party o gli Amish al Popolo del Gay Pride?
Ognuna delle civiltà chiamate in campo patisce i contraccolpi di propri scontri interni; e se l’occidentale piange, quella araba non ride, tanto da dare l’impressione, come sostiene il Viceministro Giro che, in realtà, il fenomeno IS rappresenti la cartina di tornasole di una disfida interna tutta araba, anche se le onde d’urto, poi, coinvolgono chi è al di fuori del loro ‘cerchio magico’, e non solo l’Europa, ma anche gli Usa e l’Asia.
Altro elemento destabilizzante sono i giovani: in una crisi di denatalità su una sponda e di ipernatalità dall’altra, “Vivono il loro bisogno di assoluto mettendo in gioco la loro vita stessa”. Non a caso, Gunnar Heinsohn ha parlato di ‘bubbone giovanile’ (youth bulge), ovvero dell’aggressività che può esplodere tanto indirizzandosi verso la distruzione sociale, tanto verso l’autodistruzione.
I ragionamenti portati avanti da Giro e che indirizzerebbero al buon senso il buon governo, dovrebbero diventare la bussola per tutte le istituzioni, nazionali e europee al fine di prevenire piuttosto che curare e, solo in caso estremo, arrivare alla guerra. Una visione così di grandangolo, però, nell’agenda dei decisori, si trova, purtroppo, retrocessa agli ultimi posti nelle ragioni di una politica dedita più agli orticelli che alle foreste.

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Annamaria Barbato Ricci
Annamaria Barbato Ricci è una stimata e nota giornalista italiana, free lance e già capo-ufficio stampa alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero dei Trasporti e consulente nello staff di Presidenza dell’UNICEF. E' stata coordinatrice e co-autrice della trilogia “Radici Nocerine: la Storia al servizio del Futuro”, e ideatrice de Le Italiane, un libro che racconta 150 anni di Italia al femminile.