“Un’uscita calma” e “un’entrata rabbiosa” sulla scena Usa: questo il titolo in prima pagina con cui il New York Times ha confrontato, giovedì 12 gennaio, il discorso di congedo fatto da Barack Obama su un palco di Chicago, la sera di martedì 10, e la conferenza stampa di presentazione tenuta da Donald Trump a New York, mercoledì 11.

Il presidente uscente se ne va com’era arrivato: con fermezza, pacatezza, emozione, carisma. Il presidente eletto – sintetizza il giornale – “ha altri piani”: punta sul sapersi mettere in sintonia con la gente, sull’immediatezza, la veemenza, a tratti la brutalità.

Non c’è dubbio che la comunicazione di Obama e quella di Trump sono profondamente diverse, come diversi sono i due personaggi. Nel periodo di transizione tra l’Election Day, l’8 Novembre, e l’Inauguration Day, il 20 gennaio, Obama e Trump si sono spesso ‘beccati’ a vicenda, senza troppo rispetto per il galateo istituzionale. E il presidente in carica s’è quasi fatto trascinare dal suo successore sul terreno delle provocazioni verbali e fattuali, ben al di là delle argomentazioni retoriche e dai messaggi ispirati che sono il suo mestiere d’avvocato e la sua forza di politico.

Il passaggio di consegne è ormai imminente e siamo pronti a migrare da una presidenza di dialogo e di confronto a una presidenza a misura di scambio di tweet. Twitter sembra essere la dimensione del pensiero di Trump: rapida, breve, graffiante, più efficace che elaborata.

Però, un test improvvisato fra gli studenti di una classe di Lettere della Sapienza, del corso di laurea in Editoria e Giornalismo, dà risultati in parte contati e in parte sorprendenti: la comunicazione di Obama è percepita come umana, pulita, positiva, lineare, empatica, democratica, paternalista, commossa, corretta, ma anche come stereotipata – aggettivo che io presterei piuttosto a quella di Trump, almeno per quanto riguarda i contenuti -, oltre che mediatica – il che è un po’ tautologico -. Quella di Trump è percepita come elementare, incisiva, carismatica, aggressiva, irruente, spregiudicata, provocatoria, scenica, irrispettosa, tracotante, ma anche come studiata – il che può essere vero per la strategia, ma non appare vero per ogni singola comunicazione, con i tweet apparentemente improvvisati alla 5 del mattino -.

Trump confonde e ci confonde senza confondersi. Speriamo di riuscire a raccapezzarci, nei prossimi quattro anni: noi e coloro che saranno i suoi interlocutori.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.