La Conferenza Rio+20 è, per molti aspetti, un invito a riflettere. A vent’anni di distanza dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro, l’umanità fa i conti con se stessa e i conti non tornano. Eppure non abbiamo il diritto di piangere il nostro destino, né di lasciarci paralizzare dal pessimismo. Dobbiamo lasciare Rio con un piano d’azione. Ecco come.
Circa 150 capi di stato mondiali e migliaia di attivisti delle società civili arriveranno a Rio portando il peso dei fallimenti del diritto internazionale nell’ultimo ventennio. Il Vertice della Terra del 1992 a Rio portò alla ratifica di tre grandi trattati: la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), la Convenzione sulla diversità biologica (CBD) e la Convenzione contro la desertificazione (UNCCD). Non male per un summit, tanto più che i leader mondiali apposero la propria firma sotto quei trattati – cosa quasi inimmaginabile oggi.
È il seguito che è stato sconcertante. Nessuno di quei trattati ha dato dei risultati. L’UNFCCC mirava a “prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico” riducendo le emissioni di gas serra. Ma le emissioni di CO2, il gas serra più importante, hanno raggiunto 31,6 miliardi di tonnellate nel 2011, con un aumento di circa il 50 percento rispetto al 1992. Le concentrazioni di carbonio in atmosfera salgono alle stelle, il clima sta cambiando e non è un caso se il pianeta è flagellato da siccità, alluvioni ed eventi climatici estremi, senza apparenti spiragli di miglioramento.
Gli esiti degli altri due trattati sono altrettanto scoraggianti. Quando la CBD espresse il suo monito a favore di un’azione decisiva in difesa della biodiversità, da attuare entro il 2010, il mondo udì a malapena l’invito. D’altro canto, perché sorprendersi? L’ala destra americana non volle ratificare il trattato sull’assurda (e pericolosa) pretesa che la proprietà privata deve venire prima della conservazione della biodiversità.
In quanto all’UNCCD, l’attenzione rivolta alle zone aride del mondo è stata disastrosamente fioca, nonostante le terribili sofferenze e l’instabilità politica inflitte da carestie e siccità in vaste zone dell’Africa: dalla fascia del Sahel al Medio Oriente e all’Asia centrale, passando per il Corno d’Africa. Le calamità ecologiche che minacciano le zone di grave siccità, e soprattutto le popolazioni che vivono di pastorizia, non sono mai state capite a fondo. Troppo spesso la risposta al caos generato da carestie e instabilità è stata di natura militare e non socio-economica pro-sviluppo.
È facile essere cinici, negativi e pessimisti, ma è meglio reagire, evitando lo scaricabarile delle colpe. Dobbiamo riconoscere che il diritto internazionale, da solo, non basta. È troppo facile per diplomatici, politici e avvocati differire l’applicazione di leggi e trattati quando non esiste una consapevolezza pubblica sufficiente e non ci sono soluzioni pratiche per sostenere le leggi. La nostra speranza per Rio+20 è quindi amplificare l’impatto del diritto internazionale sollecitando un’azione globale immediata, capace di scuotere le coscienze ovunque: in scuole, chiese, moschee, aziende e governi. Non sarebbe la prima volta, per fortuna. Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG) hanno fortemente motivato società e scienziati in tutto il mondo nella lotta contro la povertà, la fame e le malattie. Se a Rio si adotterà una nuova serie di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), lo sviluppo sostenibile salirà al centro dell’attenzione mondiale. La generazione futura vedrà che lo sviluppo sostenibile è la sfida decisiva del nostro tempo.
Adottiamo obiettivi chiari e stimolanti per un futuro sostenibile. Il messaggio fondamentale degli SDG deve essere che ogni società, in ogni parte del mondo, ha di fronte a sé una triplica sfida, non solo una. Troppi governi, oggi, si concentrano solo sull’economia, e troppo spesso solo sulla crescita economica. Sviluppo sostenibile significa impegnarsi nel nome di un triplice scopo, dove si fondono insieme obiettivi economici (compresa la lotta alla povertà), ambientali e sociali. L’obiettivo sociale primario è che il benessere deve essere per tutti: uomini e donne, minoranze e gruppi dominanti, giovani, vecchi e persone in età lavorativa, tutti devono trarre beneficio dalla vita comunitaria.
Spero pertanto che con Rio+20 nasca una nuova era di obiettivi sostenibili: un invito all’azione che possa essere sentito non solo da diplomatici e legali, ma da tutte le sfere sociali. Siamo di fronte a sfide spaventose – la distruzione dell’ambiente e della biodiversità, l’estrema povertà e l’emarginazione sociale – e i giovani nel mondo non potranno far altro che abbracciare questa causa, per proteggere noi stessi e il pianeta dai peggiori comportamenti umani. Lo sviluppo sostenibile può e deve diventare uno stile di vita, non uno slogan con cui riempirsi la bocca ogni vent’anni, ai meeting internazionali.
Per quanto mi riguarda, come Direttore dell’Earth Institute della Columbia University, ho il compito di utilizzare le armi della scienza, della tecnologia e dell’analisi delle politiche pubbliche per contrastare queste sfide. Le sfide dello sviluppo sostenibile sono estremamente complesse. Dobbiamo rivedere i sistemi energetici, i trasporti urbani, i metodi agricoli e molto altro. Ma abbiamo un immenso know-how, se solo sapessimo applicarlo nella giusta direzione. Guardando al futuro, immagino un’epoca impegnata a risolvere i problemi e a innovare secondo i principi dello sviluppo sostenibile e voglio che l’Earth Institute, in collaborazione con istituzioni accademiche, aziende e società civili di tutto il mondo, giochi un ruolo determinante nella realizzazione di questa visione. Davvero non può esistere soddisfazione più grande.