Da domenica, ondate di attacchi aerei si succedono sul Libano meridionale e orientale, nella valle della Beqaa, e su quartieri di Beirut: gli obiettivi sono comandanti e postazioni degli Hezbollah, cioè i guerrieri di Dio filo-iraniani, ma fra le centinaia di vittime – già 600, all’alba di mercoledì, oltre a circa 2000 feriti  – molti sono i civili, donne e decine di bambini.

Gli ordigni sganciati sulle basi della milizia sciita sono migliaia. Decine, forse centinaia di migliaia i libanesi in fuga dal Sud del Paese. Il governo ha deciso di chiudere per una settimana scuole e università. Gli Stati Uniti e altri Paesi invitano i loro connazionali a lasciare il Paese dei Cedri. Per il Libano, sono i giorni più cruenti dalla guerra del 2006.

Siamo di fatto all’allargamento del conflitto, innescato quasi un anno fa dalle incursioni terroristiche di Hamas e di altre sigle palestinesi in territorio israeliano: le vittime furono 1.200, gli ostaggi presi oltre 250, un centinaio dei quali non sono stati ancora restituiti alle loro famiglie -. Da quel giorno, il conflitto nella Striscia di Gaza ha fatto circa 41 mila vittime palestinesi, soprattutto civili, anziani, donne, bambini.

Il timore diffuso è che il peggio debba ancora venire. Le guerre di Israele in Libano sono ricorrenti nella storia del Medio Oriente: letali e aspre, non sono mai state risolutive.

La comunità internazionale è impotente. Lo dimostra la litania di discorsi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso a New York: i leader si alternano al podio, deprecano, auspicano, lanciano anatemi, ma non fanno nulla. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres constata: “Prima, c’erano linee rosse, che non si potevano superare. Ora, i Paesi fanno quello che vogliono”.

L’inasprimento dello scontro tra Israele e Hezbollah “rende ancora più vani – e quasi patetici, ndr – gli sforzi di Washington di evitare un allargamento del conflitto”: sono mesi, quasi un anno, che il presidente Usa Joe Biden invita Israele alla moderazione e media un’intesa che baratti una tregua con la liberazione degli ostaggi, senza mai ottenere un risultato.

Con il passare del tempo, e il suo ritiro dalla corsa alla Casa Bianca, l’influenza di Biden è andata svanendo e l’arroganza, nei suoi confronti, di Netanyahu è andata crescendo. Il premier israeliano punta sul ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, che vuole che Israele “finisca il lavoro”.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.