Intervista a Simona Panseri (Google Southern Europe) sulla ricorrenza dell’8 marzo e sulla questione della parità di genere.
Secondo lei ha ancora un senso che si festeggi la “festa della donna”?
Sì, direi che in nessun Paese abbiamo ancora raggiunto una piena parità di trattamento tra uomini e donne, senza parlare di una consapevolezza diffusa sull’argomento, quindi: fin quando non si elimineranno queste disparità ha senso festeggiarla.
Crede che sulla parità dei diritti l’Italia sconti una condizione più arretrata rispetto ai suoi vicini europei?
È difficile da dire, non mi sento in grado di dare una valutazione di questo genere in maniera secca perché non saprei che parametri usare o quali dati considerare. Di sicuro, non credo che esista un valore medio che valga per tutto il Paese, a volte anche all’interno della stessa città ci sono differenze sostanziali. Del resto queste vicende spesso sono da ascrivere a dinamiche individuali o interne ai nuclei familiari; basti pensare a quanti femminicidi, abusi o altri fatti di cronaca gravi ai danni delle donne si leggono sui giornali. Aggiungo che però su questi fenomeni bisogna continuare a tenere alta l’attenzione, sia come gruppi sociali (le famiglie, i condomini, le città ecc…) che come Paese. D’altronde la “festa della donna” può servire a sensibilizzare anche su questi argomenti.
Ma negli ultimi anni ci sono stati molti progressi sia riguardo al ruolo sociale delle donne, sia rispetto alla loro equiparazione all’uomo nei luoghi di lavoro, non trova?
Sicuramente i progressi ci sono stati, però non bisogna considerarli come un punto d’arrivo. Anzi, direi che non sono ancora sufficienti.
Nella sua esperienza lavorativa ha riscontrato dei miglioramenti significativi rispetto a quando ha iniziato a lavorare?
Forse c’è una sensibilità maggiore, una consapevolezza più strutturata; bisogna riconoscere che esistono dei contesti in cui la parità non è più un problema ma una realtà consolidata, allo stesso tempo continuano a esserci degli ambienti in cui non è così. Ma è difficile giudicare senza tenere conto della propria esperienza personale.
E la sua com’è?
In questo momento eccellente. Opero in una realtà in cui l’attenzione a questi temi è estremamente elevata: si valutano le persone non in base al loro genere, all’orientamento, alla provenienza o a qualsiasi forma di uniformità e diversità ma in base al valore che queste aggiungono al gruppo. E ritengo che quest’approccio sia fondamentale. Anzi, vorrei allargare il ragionamento e tornare alla domanda che mi ha fatto all’inizio. Ha ancora senso festeggiare la “festa della donna” ma dovrebbe essere una festa di tutti, una ricorrenza in cui si parli di inclusione ed eliminazione delle disparità più che di donne soltanto. Anche gli uomini dovrebbero festeggiare, incoraggiando l’idea che si debba favorire l’inclusione più che la diversità, che si crei un contesto equilibrato e bilanciato che vada bene per tutti, che rispetti tutti e che offra a tutti le stese opportunità. Ciò si ottiene solo lavorando tutti insieme per un obiettivo comune.