Copyright: La direttiva europea fa discutere.
L’osservatorio TuttiMedia propone la visione di Paolo Marzano (insegna diritto della proprietà intellettuale presso l’Università “LUISS – Guido Carli” di Roma , è membro della United States Copyright Society, del Consiglio internazionale ALAI, della direzione di INTA e dell’AIPPI. Co-responsabile del dipartimento di Proprietà Intellettuale, esperto di diritto della proprietà intellettuale, con particolare riferimento al settore del copyright, dell’information technology e della tutela di software e nuove tecnologie.
Tanto attesa, poi, alla fine, tanto criticata, questa ‘Direttiva Copyright’. Nella storia della UE è senz’altro la normativa in assoluto più combattuta dalle tante parti sociali ad essa interessate; e, per questo, il frutto di tanti compromessi. In ognuno dei diritti in essa sanciti è incluso un sé, un qualche limite, un’eccezione, un si, però …
Lungi, dunque, dal sancire perentoriamente i diritti degli autori, la Direttiva Copyright in realtà ricerca nuovi compromessi in quei vari punti in cui la realtà di Internet ha prodotto scontri per i quali era necessario trovare un punto di equilibrio. Così è per il data mining, al quale si aprono le porte all’interno della Ue, ma a condizione che l’utilizzo non sia stato riservato dal copyright owner (esattamente come può esser fatto dagli editori della stampa periodica). Così anche per l’uso di opere in attività didattiche online transfrontaliere, possibile, a meno che non vi siano licenze concesse dagli editori e che siano facilmente reperibili sul mercato.
Neanche a dirlo, lo stesso è a dirsi per il famoso articolo 15, che introduce un diritto connesso a protezione dell’uso online di pubblicazioni di tipo giornalistico da parte di service provider: con tanti: ma, se, però.
Così, ad esempio, si è scelta la strada di un diritto connesso, per poter avere una durata di soli due anni di protezione, quando, invece, le regole in materia di diritto d’autore imporrebbero (e forse comunque impongono) il riconoscimento di un pieno diritto d’autore su tali opere, come avviene già in Italia per tutte le opere collettive: ce lo dice chiaramente l’articolo 43 della nostra Legge sul Diritto d’Autore. E poi, un diritto connesso non invocabile nel caso di hyperlinking (problema minore), nel caso di utilizzi di singoli utenti online (problema mediano), nel caso di singole parole o estratti brevissimi (problema maggiore). Se l’hyperlinking potrebbe non determinare significativi impatti economici (la pratica è già abbondantemente diffusa), maggiori rischi possono derivare dalla condotta anche di singoli utenti che ‘condividano pubblicazioni di carattere giornalistico online’. La mera condivisione da parte di un singolo utente può raggiungere diecine di migliaia di utenti; ed ognuno di essi è, a sua volta, considerabile un singolo utente.
Anche più pericoloso è l’uso di “singole parole o estratti molto brevi”: per fortuna la Direttiva precisa che tali estratti non possono pregiudicare l’efficacia del diritto conferito all’articolo 15. Vi è dunque quanto basta per inserire all’interno delle norme italiane un limite quantitativo, come fatto da altri Paesi UE (entro, ad esempio, le 8 parole in Germania). Quello che però non possiamo consentirci in questa fase è di ulteriormente annacquare le norme comunitarie, di per sé già molto fragili, introducendo altri limiti: ne viene del futuro di una industria, quella del news reporting, già molto indebolita nell’ultimo decennio; ne viene del nostro diritto di essere informati: tanto, e bene.