Marco Bani, giovane, esperto del mondo digitale, soprattutto un amico curioso a cui piace immaginare e costruire l’oggi e quindi il domani. In questo momento persone come lui servono. Il suo intuito gli ha fatto scegliere il primo corso di laurea interdisciplinare in Informatica Umanistica a Pisa. La città mi riporta alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e ad un altro amico Paolo Dario (professore ordinario di Robotica e Biomedica) che con Giovanni Giovannini, fondatore di questa rivista che quest’anno ricordiamo per i 100 anni dalla nascita (1920/ 2020), parlava di poesia non più esclusiva degli umanisti ma materia per gli ingegneri. Era il 2004. Ho intervistato Paolo Dario recentemente (Media Duemila n.318) e abbiamo riparlato di Ingegnere Rinascimentale: il suo avo per eccellenza Leonardo Da Vinci, tecnico artista.
Umanesimo e informatica quasi un ossimoro…
“Programmare è poesia chi programma capisce se il codice è pulito chiaro, funzionale. Solo in questo caso trasferisce un’emozione positiva. Ti spinge a fare di più”.
Due toscani uno giovanissimo e l’altro centenario (se fosse ancora qui). Entrambi sono d’accordo sulla trasformazione tecnologica: cultura e innovazione procedono insieme…
“La tecnologia mi ha sempre affascinato come la storia. Sono entrambe fondamentali per costruire il presente e immaginare il futuro. Per questo ho scelto il primo corso interdisciplinare dell’università di Pisa: Informatica Umanistica, che univa materie umanistiche e Informatica. Erano gli anni del CD rom. Tecnologia e multimedialità esplodevano. Siamo riusciti a sfruttare le tecnologie per raccontare le nostre bellezze, ma abbiamo mancato l’occasione di innervare di nuovi processi ogni segmento del Paese. La vera innovazione è tale quando incide nella vita di tutti i giorni”.
Il Covid-19 ha imposto un’accelerazione all’alfabetizzazione digitale di tutti gli Italiani, siamo all’improvviso diventati tecnologi e innovativi?
“La rete non è un optional ma un supporto alle nostre attività. Sono scettico sull’accelerazione dell’alfabetizzazione digitale. Gli italiani sono comunque ancora timidi sull’innovazione che cambia il loro modo di vivere. Come ho appena detto la parola tecnologia mi affascina, ma viene spesso ancora associata all’ultimo telefonino o al nuovo schermo 4K. Tecnologia significa maggiori possibilità di superare un problema, avere uno strumento per decisioni difficili. Guardando indietro anche il fuoco era una tecnologia. Anche il voto, inserire un pezzo di carta in una scatola, è tecnologia, perché incide sulla società e il suo divenire e ci risolve il problema di come vivere in un sistema democratico. Essere innovativi è diverso dal parlare solamente di tecnologia. Significa essere aperti alla contaminazione, anche se proprio in questo momento la parola non infonde positività. Meglio parlare di unione fra saperi diversi che porta alla creazione di qualcosa di diverso, Tendere al nuovo è un lavoro duro nonché rischioso perché può portare all’errore e richiede uno sforzo di ascolto e di comprensione molto sostenuto. Immaginiamo la collaborazione fra un informatico e un burocrate: lo sforzo che serve per unire le diverse competenze è enorme. Questo processo di unione è appunto, innovazione. L’Italia viene da anni di arretratezza e quindi anche di incapacità di comprendere quali sono i veri driver dell’innovazione. Siamo nella fase della digitalizzazione dei consumi, non di trasformazione di processi. Usare tablet, computer, Zoom e Skype non fa di noi un Paese tecnologicamente avanzato. Per la scuola così come per la burocrazia non va bene digitalizzare i processi senza ripensare a come cambia il nostro modo di vivere, di lavorare, di apprendere. Abbiamo bisogno di una nuovo approccio complessivo che derivi da una chiara visione, altrimenti passata l’emergenza tutto tornerà come prima. Evidentemente un po’ di ruggine si è sciolta, ma è impensabile che si possa continuare ad avanzare come per magia. Lo smart working come la scuola non può funzionare se dietro non ci sono persone, dirigenti, insegnanti che sappiano utilizzare la tecnologia per migliorare la produttività, il benessere personale, l’apprendimento dello studente. A questo punto abbiamo capito alcune mutazioni, per dirla con la parola di Giovanni Giovannini, il passo successivo è trovare il metodo giusto per attuare il cambiamento senza improvvisazioni.”
Sei stato in Agid quindi di PA ne hai esperienza…
“I processi nella Pubblica Amministrazione non si possono semplicemente digitalizzare perché si corre il rischio di sovrapporre livelli di burocrazia, avere un processo analogico e uno digitale che non si parlano e rendono tutto più complesso. Il risultato è una gran confusione. Schumpeter con la sua distruzione creativa descrive il processo di mutazione industriale che tende alla creazione di nuova ricchezza. Crescere innovando non è sempre possibile e non significa sempre fare bene. La PA e le aziende innovando non godono di benefici automatici, allo stesso tempo senza innovare manchiamo la possibilità di crescere e migliorare lo status quo. Dobbiamo necessariamente accompagnare il cambiamento, far sì che la tecnologia non sia il fine ma lo strumento per riuscire a mischiare processi, saperi, tradizioni.”.
Consigli per chi come te è nel mezzo del cammin….
“Il Futuro va immaginato, chi lo immagina è già con un passo in avanti, ma non si deve mai dimenticare il passato. Qui adesso abbiamo tutti un compito: pensare e costruire un nuovo mondo. Abbiamo bisogno di pensatori, architetti e ingegneri che riescano a esplorare tutte le possibilità del futuro e darci soluzioni nel presente, avendo una visione ben chiara sulla società nella quale vogliamo vivere nel prossimo futuro. Mi ha fatto piacere scoprire Giovanni Giovannini e la sua lungimiranza, l’essere innovativi non è una questione di età”.