Parliamo subito di lei, un editore che Giovannini amava perché giovane, indipendente…
Ricordo sempre Giovannini con immenso affetto perché sono entrato in Federazione Editori con la sua presidenza. Lo ricordo anche per il suo modo di trasmettere valori fondamentali come il ruolo della stampa libera in ogni Paese e la necessità per un Paese di avere una stampa libera. E soprattutto per l’attualità del suo pensiero: la qualità dell’informazione – amava sottolineare – è un elemento determinante per il successo di un’ impresa editoriale. Questa esigenza di qualità è fondamentale, ieri come oggi e lo sarà anche domani. Ciò che cambia (lo abbiamo visto negli ultimi venti anni e probabilmente ci sarà ancora un’accelerazione nei prossimi venti anni) è il supporto tecnologico, elemento che Giovannini non ha mai sottovalutato seguendone l’evoluzione con ammirazione. Per un editore, a maggior ragione per un editore regionale, la qualità dell’informazione è legata soprattutto al territorio, nel mio caso Genova e Liguria.
Informazione regionale e Grande Mutazione, così Giovannini definiva la rivoluzione odierna, matrimonio o terremoto?
Io non so fare previsioni sui prossimi sviluppi della tecnologia, sono certo però che la gente vuole conoscere, sempre di più, quello che succede intorno a sé in un arco, probabilmente, che va dai 30 ai 50 km. Le esigenze quotidiane di ciascuno hanno la priorità: dove mandare i figli a scuola, dove curarsi, dove comprare casa, automobile. Inoltre il tempo libero a disposizione di ciascuno aumenta e dunque le informazioni su come utilizzarlo sono altrettanto determinanti. A questo punto è chiaro che c’è bisogno di chi queste informazioni sia in grado di fornirle con uno standard elevato di qualità e concretezza.
Il mondo moderno ci sta sommergendo di informazione che arriva dal basso, noi professionisti dell’informazione siamo destinati a scomparire?
Da un lato c’è sempre più informazione che arriva dal basso, certo. Forse proprio per questo è altrettanto indispensabile la figura di qualcuno in grado di mediare, di assegnare priorità. Paradossalmente proprio questo flusso enorme di informazione, costantemente alimentato, rende il ruolo del giornalista sempre attuale. Detto questo, anche il contributo che il citizen journalism può dare al giornalismo è fondamentale. Molte notizie senza i nuovi gadget tecnologici non sarebbero state conosciute dal pubblico.
Voi editori non avete mai pensato, magari consorziandovi, di creare un “mondo chiuso”, un gateway nel quale tutti possono entrare registrandosi o facendo un abbonamento al giornale, per accedere alle notizie di tutti i giornali italiani…
Semmai dovessimo creare un mondo del genere, lo faremmo per riuscire, in qualche maniera, a valorizzare economicamente i nostri contenuti informativi. Oggi la maggior parte degli utenti in Internet naviga in siti di informazione perlopiù pubblicata dai giornali. E questo è un dato che non vale solo in Italia, ma in tutto il mondo. In questi casi noi editori non partecipiamo alla catena del valore, o vi partecipiamo in maniera assolutamente marginale. Questo è un problema serio che abbiamo cominciato a discutere in sede di Federazione Editori, e che vuol dire probabilmente trovare degli accordi sia con i motori di ricerca come Google, sia con le società di telecomunicazione. Il problema che mettiamo sul tavolo è un problema che dovrà già essere discusso e risolto al più presto.
Parliamo di Kindle, arriva anche in Italia…
Può essere sicuramente una cosa positiva. Il problema è sempre lo stesso: noi editori dobbiamo poter partecipare alla catena di valore. Se attraverso Kindle noi possiamo partecipare a questa catena di valore, allora ben venga. E’ chiaro che se il nostro prodotto giornalistico, oltre che distribuito attraverso la carta, può usufruire di altri supporti tecnologici mantenendo la catena di valore, credo che ciò sia positivo per noi e per i nostri lettori. Oggi c’è Kindle, domani ci saranno altri strumenti tecnologici e piattaforme digitali che arriveranno e che aiuteranno alla fruizione dell’informazione.
Ritorniamo a lei, al suo ruolo di editore indipendente: un ruolo che immagina ancora possibile?
Certo! In Italia ci sono i grandi gruppi editoriali, però ci sono ancora, soprattutto a livello regionale, molte famiglie che detengono la proprietà dei giornali. Credo, inoltre, che il mondo dell’editoria e della comunicazione oggi stia diventando sempre più complesso e più oneroso, dunque non credo possibile che qualcuno possa decidere di investire nell’editoria per altri scopi, diciamo meno nobili.
Come vede il suo giornale da qui a dieci anni?
La nostra strategia, come quella di altri gruppi anche europei, è una strategia multimediale. Stiamo investendo sulla qualità dell’informazione soprattutto a livello locale, ma cerchiamo di sviluppare anche piattaforme alternative alla carta. A livello italiano, siamo all’avanguardia sulla strada della multimedialità e della creazione della nostra community. Abbiamo il giornale (“Il Secolo XIX”), abbiamo un sito internet (il settimo tra i quotidiani italiani), abbiamo una radio locale (“Radio 19”). In prospettiva pensiamo anche al video, non attraverso una televisione locale ma piuttosto ad una Web Tv, ed anche a produrre informazione per altre piattaforme tecnologiche.