Roma. Il ministro Brunetta ha presentato nei giorni scorsi il “Piano e-gov 2012″: una vasta raccolta di documenti per descrivere quanto si sta facendo e si vorrebbe fare per modernizzare il nostro Paese per mezzo dell’ITC. Sono indicati 27 obiettivi ai quali afferiscono una settantina progetti, quasi tutti relativi alla Pubblica Amministrazione Centrale: di ognuno c’è una breve illustrazione, una valutazione dei costi, un’indicazione dei finanziamenti già disponibili, una tempificazione di massima. Il merito principale di quest’iniziativa è di aver fornito per la prima volta una fotografia della situazione. A completare il mosaico mancano però alcuni tasselli importanti, in particolare quelli relativi al fisco, alla difesa e a gran parte di quelli degli interni, per diverse ragioni, del tutto condivisibili: il fisco ha un livello di automazione già molto elevato, gode di larga autonomia e i programmi di sviluppo sono tutti ben gestiti al proprio interno, anche per mezzo di società in house create ad hoc, mentre i programmi della difesa e degli interni hanno, per loro natura, un livello di riservatezza che ne sconsigliano una pubblicizzazione di tipo generale.

Per realizzare tutto quanto descritto nel Piano occorrerebbero 1,5 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Poiché ne risultano disponibili solo 250, occorrerà trovare gli altri nelle prossime leggi finanziarie. Anche nella situazione di crisi economica attuale, non sembra fuori luogo la proposta di destinare ogni anno circa mezzo milione di euro per ottenere un’amministrazione pubblica centrale più moderna ed efficiente. Evidentemente gli obiettivi del ministro Brunetta si fondano sul presupposto che da una maggiore efficienza dell’amministrazione dello Stato l’intero Paese dovrebbe aumentare la propria produttività e di conseguenza realizzare dei risparmi che andrebbero domani a compensare ampiamente i maggiori costi di oggi.

Non è possibile confrontare questo piano e-gov con il precedente che risale al 2002: si tratta di due filosofie completamente diverse. In quel caso ci si rivolgeva alle amministrazioni locali, c’era abbondanza di finanziamenti (provenienti dalla gara UMTS), si partiva quasi da zero, occorreva dare uno scossone, con la strategia di favorire le iniziative e le creatività locali, valutate da un apposito Comitato nominato dal Governo. Ora invece si punta alle Amministrazioni Centrali, i progetti sono ben individuati ma purtroppo scarseggiano i finanziamenti.

I 27 obiettivi del Piano del ministro Brunetta sono divisi in quattro categorie: settoriali (riguardano i Ministeri), territoriali (interessano l’intero Paese), di sistema (relativi alle infrastrutture) e internazionali (in collegamento con l’Unione europea). Non tutti gli obiettivi hanno lo stesso livello di completezza e di approfondimento: ad esempio, mentre risultano ben identificati i principali processi relativi alla giustizia, lo stesso non si può dire nei riguardi della scuola e della salute per le quali sono stati affrontati solo alcuni dei principali problemi esistenti.

Ma andiamo con ordine.

L'”obiettivo Giustizia” si concreta in 6 progetti: Nuove risorse ICT per gli uffici, Notificazioni telematiche, Certificati giudiziari, Trasmissione telematiche delle notizie di reato, Registrazione telematica degli atti giudiziari civili, Accesso on line alle sentenze.

Per quanto riguarda le risorse ICT, l’enfasi tecnica del progetto è sulla razionalizzazione del sistema dei server e sul miglioramento delle connessioni in rete. Certamente però bisognerà dedicare attenzione anche agli aspetti organizzativi e in particolare alle risorse umane necessarie per garantire la massima operatività della struttura informatica, destinata ad avere una sua intrinseca complessità, che non può essere sottovalutata.

Gli altri progetti hanno la caratteristica di essere già stati realizzati, almeno in forma sperimentale, in qualche tribunale, o, come minimo, di aver completato il ciclo di progettazione. Non si tratta pertanto di inventare ex-novo delle nuove procedure in una materia così delicata come quella della giustizia, ma di validare le esperienze fatte ed estenderle a tutti i tribunali d’Italia. Viene spontaneo chiedersi: perché tutto questo non è già avvenuto? Perché una procedura informatica innovativa tale da migliorare l’efficienza del sistema, sperimentata con successo, ad esempio, a Bologna, non viene adottata così com’è, ad esempio, anche a Napoli? Probabilmente sarebbe stato necessario un intervento più deciso da parte dell’amministrazione centrale. Su questo particolare aspetto si è espresso con chiarezza in gennaio il ministro della Giustizia Alfano nella sua relazione annuale al Parlamento sullo stato della Giustizia nel Paese, nella quale esprime importanti valutazioni sull’equilibrio da tenere tra l’indipendenza della magistratura, garantita dalla Costituzione, e sulla necessità di un’organizzazione che risponda alle richieste dei cittadini di una giustizia molto più veloce.

La realizzazione degli altri progetti della Giustizia probabilmente richiede qualche aggiustamento delle norme attuali e dovrà necessariamente coinvolgere le forze di polizia, gli avvocati, le imprese: ma non sembra che si tratti di cose impossibili, vista anche la determinazione che sta dimostrando il vertice politico nell’appoggiare l’innovazione tecnologica.

Per l'”obiettivo Scuola” sono stati messi a fuoco 5 progetti: Scuole in rete, Didattica digitale, Servizi scuola-famiglia, Anagrafe scolastica nazionale, Compagno di classe.

In questo campo fanno impressioni le dimensioni: quasi 400 mila classi, 600 mila insegnanti, 7 milioni di studenti tra i 6 e i 19 anni! È indubbio pertanto che un’informatizzazione completa della scuola italiana non può che essere costosa: si tratta però di un investimento prezioso per il futuro del Paese, al quale va data la necessaria priorità.

Particolarmente innovativo appare il progetto di “Didattica digitale” che ha lo scopo di “assicurare alla scuola la possibilità di adottare metodologie didattiche innovative, rendendo disponibile una piattaforma tecnologica per la fruizione di testi scolastici e contenuti didattici digitali, sia promossi dagli editori, a pagamento, sia resi disponibili gratuitamente dai docenti”. Nella documentazione viene precisato che “il Dipartimento per l’Innovazione Tecnologica ha già realizzato una piattaforma tecnologica che consente l’acquisto di contenuti a pagamento e offre la possibilità alle scuole di utilizzare contenuti gratuiti e di svilupparli autonomamente, anche attraverso strumenti di collaborazione (blog, wiki, videoconferenza). La piattaforma ospita oggi 3000 classi in 1000 scuole diverse”.

Molto ambizioso appare il progetto “Compagno di classe“, che mira a dotare di un PC tutti gli allievi della scuola primaria: un PC semplice, leggero e, sperabilmente, poco costoso. Però, visto il gran numero di interessati, si tratta sempre di un business in prospettiva da un miliardo di euro, che va accuratamente valutato. Anche perché, il vero problema non sta nei bambini ma nei programmi e negli insegnanti: come utilizzare il PC nella nuova didattica elementare? Come preparare l’esercito di insegnanti a queste rivoluzionarie tecniche? Come basarsi con le famiglie? Con quale gradualità muoversi in un campo così nuovo, per non farsi trascinare da troppo facili entusiasmi, evitare azioni velleitarie e puntare a obiettivi concreti e realizzabili? Non va dimenticato anche il fenomeno dei “Nati Digitali”, al quale questa rivista ha dato ampio spazio negli scorsi numeri, che vede emergere una categoria di persone giovanissime che sull’uso della tecnologia ne sanno di più degli adulti, siano essi i genitori o gli insegnanti. A mio parere, un approfondimento della situazione sposterà in futuro la priorità dell’intervento governativo più sul fronte degli insegnanti che su quello degli allievi.

Non è il caso di soffermarsi troppo sull’obiettivo “Università”, visto che l’autonomia garantita dalla legge rende particolarmente difficile la possibilità di interventi prescrittivi centrali sui processi amministrativi dei singoli atenei.

La Salute è l’oggetto del quarto obiettivo: anche in questo caso l’intervento del governo non può che essere limitato, visto che la Costituzione assegna alle Regioni i compiti di intervento e controllo. In Italia ci sono 157 aziende sanitarie nazionali e 97 aziende sanitarie ospedaliere; il loro livello di innovazione digitale è alquanto disomogeneo: un terzo si può considerare buono, un terzo arretrato. Sembra che la carenza di fondi sia solo uno degli ostacoli, mentre prevale la carenza di linee guida e di percorsi di investimento affidabili. In questo quadro acquista particolare importanza il progetto “Innovazione nelle aziende sanitarie” che mira a colmare i vuoti sopra accennati e a portare l’80% della ASL a un “alto” livello di innovazione.

Non è possibile in un solo articolo neanche accennare agli altri numerosi progetti del piano, riservandomi eventualmente di parlarne in un secondo momento. Appare comunque evidente che, indipendentemente dalla disponibilità o meno di fondi sufficienti, sarà necessario emanare nuove norme o rivedere alcune delle attuali; in alcune casi si tratta di regolamenti, in altre di leggi primarie, che richiedono un adeguato supporto tecnico, tempi lunghi e l’esame del Parlamento. Inoltre, poiché molti interventi sono trasversali alle competenze dei vari dicasteri, occorre una particolare attenzione nel progettare i singoli provvedimenti normativi: ad esempio, molti si sono chiesti se sono state adeguatamente valutate le conseguenze di tipo generale apportate dalle modifiche normative alla Posta elettronica certificata introdotte dalla recente legge sulle “Misure urgenti”, in un’ottica di semplificazione dei procedimenti amministrativi delle imprese.

È interesse del Paese che il Piano e-gov 2012 abbia pieno successo, che si trovino i fondi, che si approvino le norme necessarie, che i progetti si moltiplichino e trovino attuazione fino ad interessare l’intera macchina amministrativa dello Stato. Per fare ciò, oltre all’indispensabile volontà politica, occorre anche un adeguato supporto tecnico-normativo trasversale, dotato di competenza e autorità, capace di raccogliere e mediare le opinioni degli esperti e di supportare conseguentemente l’organo politico. Nel passato sembrava che il candidato a questo ruolo fosse il Cnipa, in collaborazione con il Dipartimento per l’Innovazione tecnologica e gli altri Dipartimenti di volta in volta interessati, visto anche il merito che gli va attribuito di molte innovazioni tecnologiche del recente passato, come il sistema della Firma digitale, la Posta elettronica certificata, il Sistema Pubblico di Connettività, il Protocollo informatico, alcuni dei principali portali. Come è noto, è in atto una revisione del ruolo e dei compiti del Cnipa: appare evidente che manca la funzione di supporto tecnico-normativo, che comunque qualche ente, se non il Cnipa, dovrebbe avere il compito di fare, a ulteriore garanzia del successo del Piano.

Pierluigi Ridolfi

pierluigi@ridolfi.net

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