Il confine è davanti a noi o dietro di noi, viene da chiedersi arrivando a pagina 203, l’ultima della recentissima opera di Sergio Zoppi “Pietre di Confine – Personali apprendimenti” (Rubbettino), a cui seguono altre 15 di ricchissimo indice dei nomi?
A leggere le ultime cronache di questo Paese immemore di ciò che attiene alla Cultura, in particolare dello Stato e civica, dell’amministrazione, del sapere sic et simpliciter, immolato tutto ciò all’efficientismo e all’indoratura su un’anima di pece nera, il confine ci divide da anni in cui, invece, era salda e dritta ed etica una concezione di Paese e di sviluppo che ci fece raggiungere ruoli di primo piano fra le potenze mondiali. E questo persino quando scontavamo il fio di esserci trovati dalla parte sbagliata, quella dei semi-perdenti, nella Seconda Guerra mondiale.
Sergio Zoppi ha voluto testimoniare tempi e personalità eccellenti di quegli anni di ascesa e di benessere (padre scriteriato del consumismo) perché l’operazione lotofaga è in atto e di certe storie rimanesse traccia per bocca di chi ne era stato protagonista oppure spettatore privilegiato.
E’ un saggio-matrioska il suo, in quanto raccoglie 15 medaglioni di altrettante personalità che hanno lasciato la loro traccia nella storia del Paese (alcuni non per il grande pubblico, ma ciò è irrilevante: l’importante è ciò che fecero, anche senza le prime file nei Telegiornali). Si tratta di Corrado Dami, Giorgio La Pira, Nicola Pistelli, Giovanni Spadolini, Giulio Andreotti, Amintore Fanfani, Giulio Pastore, Giovanni Marongiu, Manlio Rossi-Doria, Anna De Lauro Matera, Massimo Annesi, Pasquale Saraceno, Gabriele De Rosa, Massimo Severo Giannini e Antonio Maccanico. Di tutti l’Autore ha un ricco florilegio di aneddoti. Fa sorridere, ad esempio, ciò che racconta riguardo a un suo incontro, da giovanissimo, col sindaco ‘Santo’ di Firenze, Giorgio La Pira. Lo vide arrivare un po’ affannato a un loro incontro e si sentì salutare con una frase sorprendente: “Se riesco a far aggiungere qualche lampadina per le strade accresco la fiducia nel Comune assai più di quanto riesca a fare con un convegno sulla pace”.
Sembrerebbe la battuta di un film quasi da Cetto Laqualunque, eppure a pronunciarla fu un apostolo laico che, certo, nessuno taccerebbe di opportunismo sapendo in realtà quanto egli avesse a cuore la vita concreta delle persone. Viene da chiedersi se, nella tesi con cui si laureò in Giurisprudenza il Presidente del Consiglio Matteo Renzi nel 1999, “Firenze 1951-1956: la prima esperienza di Giorgio La Pira Sindaco di Firenze” si trovasse riportato nulla del genere, visto che l’episodio avvenne proprio in quegli anni.
Finiti i 15 ritratti, si giunge al nocciolo duro del libro, quasi come un reattore atomico colloca la sua anima al proprio centro: una cinquantina di dense pagine racchiudono un’autobiografia concentrata e pervasa, come molti passi del libro stesso, da autoironia e, insieme, da profondo dolore. Un dolore comprensibile. Zoppi aveva conosciuto la speranza, l’orizzonte di un mondo potenzialmente positivo, nel Golfo mistico durato trentacinque anni e più quale autorevole dirigente e ancora altri come acuto saggista. Lui ha, aveva una stella polare, ovvero lo sviluppo del Mezzogiorno.
Le esperienze di giovane studioso di Romolo Murri (la tesi di Sergio Zoppi, che lo laureò con la medaglia d’oro di miglior studente dell’anno in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, relatore Giovanni Spadolini, divenne anni dopo un libro per Vallecchi) presero corpo nella Segreteria del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, componente di alto profilo nello staff del Ministro Giulio Pastore: poi i trent’anni di Formez, prima come direttore generale, indi nella ventennale trincea della Presidenza dell’Istituto. Furono anni di grande laboriosità, protagonista di una trincea innovativa svolgendo una funzione fondamentale per la formazione delle risorse umane pubbliche e private del Sud.
Risalgono a quei tempi, ad esempio, numerose iniziative che videro il Formez alleato con Media Duemila, in una congiunzione di ‘visionari’ verso il futuro tecnologico, protagonisti Giovanni Giovannini, fondatore della nostra rivista nonché tanto d’altro in più, e Sergio Zoppi.
Nel post FORMEZ, l’esperienza di Zoppi si è dipanata fra ruoli governativi e in Agenzie pubbliche, ma per chi legge il libro sono i trent’anni di via Salaria 229, sede storica del FORMEZ, accanto a quella genetica della Mostra d’Oltremare a Napoli, dove si somministrava la formazione (poi, trasferitasi ad Arco Felice, nella ex Olivetti) quelli che l’Autore potrebbe chiosare come ‘Formidabili, quegli anni’.
Per chi, come lui e accanto a lui, li ha sperimentati, c’è una profonda consonanza di sentire nel richiamare una frase di Emmanuel Mounier, allorché si riflette sulla nostra attualità: “Ci attendono degli dei sbrigativi. Insensibili alle sottigliezze, ascoltano appena le ragioni, e valutano all’ingrosso.”
Leggendo i giornali, di fronte a un’amputazione del FORMEZ, con la chiusura della sede di Arco Felice ad opera di un Commissario rottamatore (e chissà che non sia un ben triste preludio del canto del cigno dell’Istituto); ad un paventato commissariamento della Scuola Nazionale dell’Amministrazione; alla chiusura o alla sterilizzazione delle articolazioni formative siciliane, come l’ISIDA e il CERISDI, si rimane sgomenti al cospetto degli dei sbrigativi che sovrintendono ai nostri giorni, i quali, più che sgretolare le pietre di confine, abbattono quelle d’angolo.