di LIVIA SERLUPI CRESCENZI –
E’ nato prima il web o la pirateria? Pirati si nasce o si diventa? Quanti luoghi comuni si potrebbero utilizzare su tale annoso argomento che vede coinvolte da un lato le parti pragmaticamente in contrapposizione (i produttori di contenuti e gli utenti della Rete) e dall’altro le moltissime opinioni, giudizi, pensieri e idee che predicano attorno alla questione di Internet e della sua funzione nella nostra vita. Sicuramente la prospettiva adottata dall’uso di questo termine, “pirateria”, lascia spazio a inequivocabili giudizi sull’atto di riprodurre per sé o in condivisione alcune parti o l’intera opera frutto delle capacità creative di un autore. Ma qui non è dell’autore che si parla. Nell’immaginario collettivo troppo spesso si equivoca sulla categoria dei produttori di contenuti che sono anche coloro che rivendicano i diritti sull’opera. Non sono i diretti autori dell’opera, infatti, ma coloro che hanno ottenuto i diritti proponendo un contratto di cessione all’autore. E così tutto il nostro romanticismo che girava intorno al povero intellettuale spiantato che deve essere tutelato in qualsiasi modo perché non smetta di “nutrici” con la sua opera intellettuale affoga miseramente in un bicchier d’acqua.
In dieci anni il nostro modo di comunicare è completamente cambiato non lasciandoci il tempo di sfruttare risorse e studiare norme per adeguarci ad un nuovo paradigma prima neanche immaginabile. Certo è che l’uso della Rete è divenuto preponderante in tutti i settori del vivere quotidiano, compreso il mercato e i social network rivoluzionano oggi anche i nostri modelli di business. E’ uscita da poco la notizia a proposito del magnate della comunicazione Rupert Murdoch e delle sue accuse, via Twitter, al presidente degli Stati Uniti. Il proprietario della New Corporation, la più importante compagnia di comunicazione al livello mondiale, infatti, ha risposto al comunicato emanato nei giorni scorsi dalla Casa Bianca dove si fa riferimento alle leggi in discussione in questi giorni al Congresso contro la pirateria on line. La cosiddetta Sopa (Stop On Line Piracy Act), in discussione alla Camera e la Pipa (Protect IP Act), in discussione al Senato. La prima permetterebbe di agire preventivamente in qualsiasi caso si ritenesse fossero violati i diritti di copyright non con la semplice rimozione dal sito del singolo contenuto protetto ma attraverso l’oscuramento totale del sito imponendo ai provider il blocco dell’IP e vietando ai fornitori di servizi (motori di ricerca, sistemi di pagamento ecc.) di collaborare con il sito incriminato sotto la minaccia di essere considerati corresponsabili del danno patrimoniale. Le spese legali per opporsi a tali provvedimenti, se ritenuti ingiusti, saranno in ogni caso a carico di chi agisce in giudizio a prescindere dall’esito della controversia. Attualmente è prevista una semplice diffida. La Preventing Real Online Threats to Economic Creativity on Theft of Intellectual Property Act of 2011(Pipa) si propone di offrire strumenti adeguati al governo e ai proprietari di copyright per combattere i siti, fuori dal territorio USA, che infrangono i loro diritti. Il comunicato chiarisce che una eventuale legge in tal senso defrauderebbe Internet del valore che tale strumento oggi ha assunto di innovazione e potrebbe ridurre la libertà di espressione. Anche se la pirateria va combattuta, tali proposte comporterebbero solo una censura sproporzionata che potrebbe incrementare i rischi in fatto di cyber sicurezza: “While we believe that online piracy by foreign websites is a serious problem that requires a serious legislative response, we will not support legislation that reduces freedom of expression, increases cybersecurity risk, or undermines the dynamic, innovative global Internet”. Nonostante la sua reputazione non proprio integra dopo gli ultimi scandali, Rupert Murdoch ha tacciato il presidente di connivenza con i padroni della Silicon Valley secondo lui leaders della pirateria informatica.
Per avere un’idea della posta in gioco è sufficiente osservare i dati di uno studio americano di IIPA (International Intellectual Property Alliance) uscito nel novembre 2011 che hanno evidenziato come il contributo economico dell’industria del copyright ha superato i 930 miliardi di dollari di valore, quasi il 6,4% del PIL globale statunitense. La filiera delle industrie Usa, poi, più dipendenti dalla protezione della proprietà intellettuale occupa circa 5,1 milioni di lavoratori statunitensi, circa il 5% del totale degli occupati nel settore privato.
Continuiamo a parlarne?
Livia Serlupi Crescenzi
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