Internet e, in particolare, i social network sonoormai da tempo strumenti essenziali delle campagnepolitiche ed elettorali, specie negli Stati Uniti,dove sia la raccolta di fondi che l’azione di proselitismosi fanno in Rete. Il primo candidato a ricorrereal Web fu Howard Dean, medico, exgovernatore del Vermont e, nel 2004, candidatoalla nomination democratica alla Casa Bianca. Conil Web, Dean, che era un perfetto sconosciuto,conquistò un’insperata posizione di battistrada.Poi, Dean fece una gaffe televisiva, una sola, lasera dei caucuses nello Iowa, e la rete non potèsalvarlo. Quattro anni dopo, Obama ha percorsofino in fondo lo stesso cammino e con l’appoggiodel popolo di Internet, è riuscito a vincere.Pure in Europa, la Rete è usata in politica, mameno che in America: se alcuni leader, come AngelaMerkel in Germania e Nicolas Sarkozy inFrancia hanno in parte costruito i loro successiutilizzando i social network, un sondaggio ha direcente indicato che solo il 6% degli italiani formala propria opinione politica su Internet, mentrela stragrande maggioranza si affida, per le sue sceltee le sue valutazioni, alla TV e ai giornali.A sentire più di tutti il cambiamento, prima diInternet, poi dei social network sono i media. Lacrisi della stampa tradizionale era già cominciataprima dell’esplosione della Rete: la TV l’aveva innescata,Internet l’ha accelerata e completata.Colpa, anche, di come sono fatti i giornali, cheogni volta scelgono di essere la cassa di risonanzadei propri killer.Una data chiave è il 16 aprile 2007, il massacroalla Virginia Tech University: una delle stragi neicampus Usa, non la prima, neppure l’ultima, ilgiorno che resterà nella storia dell’informazione.Le prime immagini di quanto avviene nell’ateneosotto assedio non le dà la CNN, o una TV locale,ma vengono affisse sul Web da un videofonino.Questa tragedia segna un’affermazione dei newmedia. La CNN li cavalca mandando in onda perprima fra le TV “all news” Usa, le immagini dellasparatoria raccolte via web. Un esempio, il primoforse su scala così vasta e con un impatto emotivoforte e globale, di come i media tradizionali possonoutilizzare i new media e vedere in essi nondei concorrenti, ma degli alleati. Le agenzie di stampasono, sulla carta, il media più orientato a recepirel’innovazione e a governare il cambiamento. Daveicolo e contenitore di tutte le notizie disponibilisi devono trasformare in uno strumento di certificazionee di scelta, mirando a dare l’informazioneche conta e che vale nell’alluvione dell’informazionedisponibile, distinguendosi rispetto al chiacchiericciodei social network. Certo, Internet, i blog,i social network mandano il giornalista in crisid’identità e mettono i giornali in ansia sul propriofuturo. In un anno, tra la metà del 2008 e la metdel 2009, negli Stati Uniti hanno chiuso 60 testate,mentre nascono scuole di giornalismo on line:YouTubeha recentemente aperto Reporter’s Center,un nuovo canale per tutti i citizen journalists.Sulla carta, l’informazione di base prodottadalle agenzie e l’informazione dei blog e dei sitidi giornalismo civico sono ai due estremi dellacatena informativa: le agenzie stanno, o megliostavano, al di sotto della soglia di visibilità dellanotizia per il grande pubblico; i blog e il giornalismodiffuso sono l’agorà dove si discute la notiziadi pubblico dominio e dove ciascuno dice la sua,senza che nessuno gli chieda se ha la tessera dagiornalista. Ma la catena dell’informazione, a cavallotra Secondo e Terzo Millennio, è in evoluzione:i blog, che intrecciano alle opinioni lenotizie, diventano fonte; e le agenzie, grazie alWeb, raggiungono l’utente finale, il cittadino lettore.Un fatto, un dato, una dichiarazione, appenaentra nella Rete, diventa immediatamente di tutti,universale, e perde rapidamente la riconoscibilitdell’origine: uno sberleffo al copyright e alla proprietintellettuale.L’informazione da bene raro è divenuto un beneinflazionato: da bene che vale (e che merita diessere acquistato) è divenuto, o almeno è percepito,come un bene che non vale nulla perché ègratis ovunque – certo, senza distinzione fra il granoe il loglio -. E invece la buona notizia a scovarlae a produrla costa ed è giusto pagarla: lo mostranoi ripensamenti sui siti a pagamento delNew YorkTimese delWall Street Journale di molti altri mediaautorevoli, anche in Italia.Nella forma, le differenze sussistono (o almenodovrebbero sussistere). Il giornalismo d’agenzia,sinonimo di informazione di base, fatto di notizie“schiette”, con pochi aggettivi qualitativi e zerocommenti personali, è un po’ l’antitesi dello stiledei siti della blogosfera e del cosiddetto giornalismocivico, alimentati da contributi che vengonoda privati cittadini disposti a intervenire, interagire,discutere, criticare, contestare, rilanciare.Contributi che non sono professionalmente “certificati”,ma che possono rivelarsi complementariall’informazione tradizionale, o addirittura, sostituirlaquando latita.Negli Stati Uniti e ormai non solo, i blog sonoconsiderati dai media tradizionali una fonte, persinoautorevole in alcuni casi, seppure da vagliarecon prudenza; soprattutto, i blog sono visti comeportatori d’intuizioni sull’impatto e la portata diuna notizia, su riferimenti e coinvolgimenti.

Un discorso diverso sono i casi, rari, ma, propriocome nel caso della Virginia Tech, preziosissimi,in cui il blogger è testimone diretto di unevento eccezionale: il 3 agosto 2007, ancora laCNN, ma stavolta pure la FOX, che nel frattempoaveva imparato la lezione, hanno largamenteutilizzato contributi e testimonianze raccolti e inviaticon videofonini del crollo del ponte di Minneapolissul Mississippi.A livello internazionale grandi agenzie comel’Associated Press hanno da tempo stretto alleanzecon i blog o i siti di giornalismo partecipativo piùaffidabili. In Italia questo è avvenuto soprattuttoper i quotidiani:la Repubblicaeil Sole 24 Oresonoi due casi sicuramente di maggior rilievo:repubblica.itè stato affiancato da blog gestiti daisuoi redattori; mentreilsole24ore.comha dato vitaall’iniziativa Nova 100, per ospitare un centinaiodi blog gestiti da altrettanti personaggi italiani dispicco in vari settori. Un quotidiano on line parteavvantaggiato nell’interazione con il mondo delWeb 2.0 rispetto a una agenzia di stampa che, adesempio, non può contare su una tradizione consolidatadi rubriche per i lettori, come le “Lettereal direttore”, per citarne una, facilmente traducibiliin un’analoga esperienza interattiva on line. Unlettore di quotidiano, sia stampato che informatizzato,ha inoltre l’abitudine di identificare il giornalistache scrive l’articolo e che si firma con nomee cognome, ultimamente integrato anche dall’indirizzoe mail: facile, dunque, fare il passo dell’interazione.Con Internet e i social network, con i blog eYouTube, il modello d’informazione è nuovo, piùarticolato, più frastagliato, più ricco, ma più incertodal punto di vista dell’affidabilità. I suoicultori lo dicono più democratico, perché l’informazioneviene dal basso; ma i dati indicanoche l’area dell’esclusione è elevatissima, perchéchi non naviga, o naviga saltuariamente e conpoca dimestichezza, resta in netta maggioranza:certo in Italia, certissimamente nel mondo. Internetfa conoscere al mondo la protesta di Teheran,ma non all’Iran.Fra tanti dubbi e tanti interrogativi, ci resta ilpunto di riferimento della notizia, che, dal giornodi Filippide, e probabilmente fin da prima, è labandiera del giornalismo, d’agenzia, d’Interneto di qual media si voglia, e resta il mattoncinoLego di qualsiasi costruzione informativa.

di Giampiero Gramaglia

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