Com’è possibile che a fronte di una crescita costante della domanda d’informazione da parte dei cittadini, l’offerta informativa dei media locali sia in crisi? La risposta è complessa e non può essere data senza analizzare fattori sociali, antropologici e, non ultimi, economici. Tuttavia, gli studi che hanno accompagnato la crisi dell’informazione negli ultimi anni si sono rivolti al contesto nazionale, alle grandi testate o gruppi editoriali, mirando quasi sempre a inserire la questione in una più ampia crisi di sistema.
L’AGCOM, invece, ha spostato il focus e si è proposta di ricomporre il quadro eterogeneo e molto frammentato dell’informazione locale in uno studio approfondito che introduce una nuova metodologia per valutare la rilevanza dei gruppi editoriali (sia nazionali sia regionali) in ogni Regione, attraverso la stima della “total audience informativa” (t.a.i.) ovvero del totale della popolazione raggiunta per fini informativi da tutte le testate editoriali detenute dalle società su tutti i mezzi informativi (quotidiani, canali televisivi e radiofonici). “Tramite un’indagine di mercato su un campione rappresentativo, a livello regionale e nazionale, volta ad analizzare le abitudini di consumo informativo da parte dei cittadini italiani, l’Autorità ha acquisito per ogni individuo del campione (e, quindi, per l’intera popolazione nazionale e regionale, per tutte le venti regioni), l’accesso ai vari brand informativi. Quindi ha analizzato gli assetti proprietari degli stessi, attribuendoli ai vari gruppi editoriali presenti sul territorio. A questo punto l’Autorità è stata in grado di calcolare il t.a.i. per tutti i maggiori editori, nazionali e locali, nelle venti Regioni d’Italia, riuscendo a individuare gli operatori che nei vari contesti regionali detengono una leadership informativa”, ha spiegato Marco Delmastro, Direttore del Servizio Economico-Statistico AGCOM. In questo modo si è potuto stabilire che alcune regioni, o subregioni, vivono situazioni di quasi-monopolio mentre altre di quasi-abbandono. Il discrimine è rappresentato per tutti dal Servizio Pubblico Nazionale, la Rai, che attraverso i suoi TGR sopperisce in molte aree della Penisola alla carenza, a volte grave, di informazione locale. “Ed è infatti per questo che il telegiornale regionale è considerato il marchio più autorevole dal quale attingere informazioni a livello territoriale”, come ha sottolineato Alessandro Casarin, Direttore della divisione TGR Rai, ponendo l’accento sulla crescita di share del 2,4% dei suoi tg negli ultimi mesi. Del resto è la stessa Adriana Lotti, Responsabile dell’Indagine, a fornirci i dati: “la Rai è il primo gruppo di riferimento per l’informazione locale in quattordici regioni; e ciò avviene nonostante la società offra contenuti informativi regionali in specifiche e delimitate finestre temporali”.
“Inoltre”, continua la Lotti, “è importante notare che alcuni grandi gruppi editoriali nazionali hanno un ruolo di prim’ordine anche a livello locale. Tuttavia, l’assenza di significative sovrapposizioni dei propri brand, la specializzazione di questi gruppi nei quotidiani e il contestuale perdurante calo di diffusione delle testate, nonché la presenza di altri, qualificati operatori, sono elementi che diminuiscono il peso informativo di queste posizioni. Diverso e più problematico è il caso di quelle regioni (come Trentino Alto Adige, Sardegna, Puglia, Molise e Sicilia) in cui emerge una posizione di forza informativa di alcuni soggetti privati, per altro a volte difficilmente identificabili a causa della poca chiarezza nei vertici delle aziende (gruppi che possono sembrare rivali in alcuni casi appartengono ad assetti proprietari vicini o cooperanti). Va da sé che ciò genera un’influenza significativa sull’intero “ecosistema” regionale”.
Perdendo il pluralismo, insomma, si perde uno dei caposaldi dell’informazione e, come hanno affermato in tanti nel corso della giornata, della democrazia. Ad esempio, il Professor Mirco Tonin, della Libera Università di Bolzano ha citato diversi esempi a riprova dell’importanza dell’informazione locale in tutto il mondo: dalla funzione di indagine contro i politici corrotti svolta dalle radio in Brasile (in cui, nelle regioni con l’informazione locale più forte i politici corrotti avevano molte meno probabilità di essere rieletti) ai finanziamenti pubblici alle TV in Ungheria (che, negli anni di governo della destra, ottenevano molte più commesse pubblicitarie dipendendo strettamente dalle indicazioni del governo).
“L’informazione non è una merce ma ha un valore preciso” ha ricordato la Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, Paola Spadari, e come potrebbe essere altrimenti? Si pensi alle decine di aggressioni e minacce che ogni anno subiscono i giornalisti locali, lontani dai riflettori e dal teatrino della solidarietà. Questi professionisti, spesso sottopagati e abbandonati a sé stessi in caso di ritorsioni o denunce, sono l’ossatura di un sistema informativo che altrimenti sarebbe al collasso, o peggio, al servilismo e all’opportunismo.
Per questo, da tutti i relatori si è mossa la stessa istanza: bisogna che lo Stato intervenga a salvaguardare quei presidi di socialità e cultura che operano nei territori per l’informazione dei cittadini. Cooperando con gli attori e le altre istituzioni interessate, come i Corecom, l’Autorità Garante sta cercando di dar vita a un processo che salvaguardi l’informazione locale e l’Indagine Conoscitiva presentata a Roma costituisce un’eccellente base di dati e metodologie per tutti i futuri interventi politici e culturali su tale comparto.

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Sabato Angieri
Laureato in “letteratura europea” presso l’università “La Sapienza”di Roma è giornalista freelance e traduttore editoriale, ha collaborato a diversi progetti culturali e artistici come autore e scrittore. Attualmente collabora con Lonely Planet come autore e con Elliot edizioni.