Nel 1932 Walter Pitkin, della Columbia University, pubblicò una “Storia della stupidità umana” che ebbe all’epoca un grande successo: tradotto in quindici lingue, in Italia uscì due anni più tardi in una delle collane Bompiani più diffuse. Scritto con stile giornalistico e ricco di esempi e di aneddoti, il libro di Pitkin sostiene una tesi sconcertante: l’umanità è tendenzialmente stupida, vive di errori continui e i suoi esponenti più in vista, nel mondo dell’arte, della scienza, della politica, si sono distinti più per le azioni di totale stoltezza, poco note al grande pubblico, che per quelle nobili, per le quali sono ricordati.

 

Il libro non ha particolari pregi scientifici o letterari, ma merita di essere ricordato se non altro per la sua conclusione: in futuro la stupidità umana sarà molto più contenuta perché interverranno le macchine a moderare le azioni degli uomini e a impedire che compiano scelleratezze.

 

Tra queste macchine Pitkin cita l’integrafo che “occupa un grande locale e risolve problemi di alta matematica che nemmeno Einstein saprebbe risolvere; non solo, ma completa inoltre, entro pochi giorni, problemi che richiederebbero parecchi mesi di lavoro da parte di una ventina di periti matematici aiutati da uno stato maggiore di assistenti muniti ciascuno di macchine calcolatrici”.

 

Questo è solo l’inizio di una rivoluzione, sostiene Pitkin: in futuro ci saranno macchine affini all’integrafo che potranno compiere operazioni contabili e finanziarie e aiutarci a investire al meglio il nostro denaro e liberarci dagli errori dei banchieri.

 

Per quanto riguarda i metodi di calcolo Pitkin non nasconde la sua ammirazione per il collega, Derrick Lehmer, dell’Università di California, che è riuscito a fattorizzare numeri grandissimi (fattorizzare un numero intero N significa trovare i numeri a, b, c … che moltiplicati fra loro danno N). “Dalla fattorizzazione dei numeri a quella di sistemi complessi non quantitativi il salto è enorme, senza dubbio; ma per compierlo si richiede soltanto tempo ed energia”.

 

Conclude Pitkin che con macchine potentissime e con processi automatici che interpretano in modo razionale il comportamento umano, si potrà realizzare, in futuro, un’Era in cui “saremo guidati da nuove batterie di misuratori, di indicatori, di controlli tutti attinenti al campo sensorio e potenzianti il nostro ambiente nello spazio e nel tempo”.

 

Come è evidente, non mancano le esagerazioni.

 

L’integrafo è uno strumento meccanico, ben noto, in grado di tracciare l’integrale di una funzione data, cioè, in pratica, di calcolare l’area tracciata dalla funzione stessa. La teoria degli integrafi è stata sviluppata dal napoletano Ernesto Pascal a cavallo del secolo scorso e alcuni esemplari di queste macchine – peraltro di dimensioni modestissime – sono tuttora esistenti in vari istituti italiani. Il calcolo degli integrali è un caso particolarissimo dell’elaborazione dei dati: progressi nell’elaborazione dei dati possono portare a miglioramenti nel calcolo degli integrali, ma non è vero il contrario. E mi sembra anche molto azzardato sostenere che l’integrafo sia in qualche modo un progenitore dei calcolatori.

 

Analogamente, la fattorizzazione è un procedimento matematico, particolarmente complesso, ma che nulla ha a che vedere con i modelli comportamentali umani.

 

Che conclusione trarre? Da una parte stupisce la genialità di Pitkin, capace di prevedere alcuni effetti del calcolo automatico con vent’anni d’anticipo sui primi lavori teorici sull’argomento; dall’altra sembra che Pitkin si sia azzardato in voli pindarici, estrapolando in modo abnorme alcuni risultati scientifici di limitatissima rilevanza. Un po’ come Giulio Verne, che, con assoluta tranquillità, ci ha portato con il capitano Nemo per ventimila leghe sotto il mare grazie a propulsori ad aria liquida, descrivendo un futuro tecnico che non si è mai realizzato, almeno nelle forme da lui profetizzate.

 

Ma a parte ciò, le pagine di Pitkin ci spingono a una riflessione: sarà vero che man mano che il nostro mondo sarà sempre più impregnato di tecnologia diventeremo tutti più civili? Comunque, l’immagine che per esercitare il suo potere “il despota della Casa Bianca non avrà altro da fare che premere bottoni ed azionare leve di comando” sarà un po’ esagerata, ma fa tremare. Anche perché non è detto che il despota sia proprio della Casa Bianca.

 

Da “Introduzione alla storia della stupidità umana”, di Walter B. Pitkin , ed. Bompiani, 1934 –  pag. 303 e segg.

Pochi possono tenere presenti alla mente più di quattro o cinque fattori di un quesito che richieda una lunga concatenazione di raziocini; e nessuno può, nemmeno con carta e matita, cimentarsi con successo in un problema matematico che implichi più di tre variabili non cumulative. E nondimeno i problemi della vita, novantanove su cento, contengono dozzine di variabili. Come risolverli ?

Solo inventando la Super-Mente sotto la forma di centinaia di dispositivi che maneggino in vastissima scala tutte le speciali attività dell’associazione, dell’analisi, delle illazioni e della sintesi che la mente eseguisce in scala lillipuziana. L’antico regolo misuratore e l’abbaco furono i primi dispositivi inventati dall’uomo per afferrare numeri o grandezze altrimenti inafferrabili con le sue sole facoltà calcolatrici: essi compiono operazioni che la mente media sarebbe incapace di compiere. Intervennero millenni prima che si verificasse un progresso con l’invenzione delle macchine addizionatrici. E nessuno, fino al diciannovesimo secolo, aveva mai avuto l’audacia di sognare che si potesse meccanizzare il raziocinio logico; eppure Stanley Jevons[1] costruì effettivamente una macchina i cui tasti a pressione registravano le illazioni deducibili dalle proposizioni enunciate sui tasti stessi; non aveva, è vero, attuabilità pratiche; era un semplice esperimento, ma non è  escluso che se Jevons non fosse morto prematuramente avrebbe forse potuto dare al mondo illogico un autentico metro.

Dal primo tentativo di Jevons in poi, si sono effettuati progressi enormi nel campo delle macchine calcolatrici. Vale davvero la pena di fare un viaggio di mille miglia per veder funzionare l’integrafo continuo. Questo magico ritrovato occupa un grande locale e risolve problemi di alta matematica che nemmeno Einstein saprebbe risolvere; non solo, ma completa inoltre, entro pochi giorni, problemi che richiederebbero parecchi mesi di lavoro da parte di una ventina di periti matematici aiutati da uno stato maggiore di assistenti muniti ciascuno di macchine calcolatrici.

Non è lontano il giorno forse cadrà nel corso della vita stessa dei nostri nipoti in cui qualche problema di economia verrà trattato da macchini affini all’integrafo continuo. Deridano pur l’ipotesi i banchieri ignoranti e gli affaristi imbecilli, e l’articolista di spirito ci componga su la sua brava pagliacciata quotidiana; non saranno questi signori che potranno ritardare la marcia del progresso umano. La meccanizzazione del pensiero è cominciata; tra un secolo sarà generalizzata come oggi l’automobile.

In quell’era beata, nessun uomo per bene si scervellerà alla ricerca del modo migliore di investire i suoi risparmi o di incrementare la produzione della sua officina; e se la signorina per bene sarà libera ancora di scegliersi il compagno vagheggiato dal cuore, sarà tuttavia un dispositivo meccanico che l’anno di poi le fisserà gli alimenti all’atto del divorzio.

In termini logici, un compito siffatto è  puramente un’estensione del principio di fattorizzazione e di integrazione meccaniche, perché tutte le questioni sommamente complesse, come ad esempio le interferenze tra le fluttuazioni dei redditi e il tenore di vita, indubbiamente soggiacciono a certi gruppi di fattori, e questi alla lor volta a certi gruppi di rapporti reciproci e a certi principi di equivalenza che devono poter venire determinati. È già stata inventata, da Derrick M. Lehmer dell’università di California, una macchina che maneggia la fattorizzazione di numeri superiori a 2 milioni: operazione che trascende la capacità umana. Dalla fattorizzazione dei numeri a quella di sistemi complessi non quantitativi il salto è enorme, senza dubbio; ma per compierlo si richiede soltanto tempo ed energia. Io sono saldamente convinto che se si affidasse l’elaborazione d’un bilancio municipale ad un gruppo di economisti e di matematici, con pieni poteri di meccanizzarlo, essi potrebbero, già quest’anno, escogitare qualche nuova macchina atta a calcolare con la massima obbiettività di accuratezza più della metà dei titoli del bilancio. E se i bilanci preventivi dei massari sono ancora ben lungi dal poter essere manipolati a questo modo, a causa soprattutto dei fattori indeterminabili costituiti dalle imprevedibili (per ora) condizioni meteorologiche o dalle cervellotiche macchinazioni politiche (tariffe, concorrenza, e simili), verrà tuttavia il giorno in cui tali fattori saranno individuati, stabilizzati e razionalizzati, così che, forse verso l’anno 2500, tutti i problemi vitali verranno risolti meccanicamente; e grazie a Dio il despota della Casa Bianca non avrà altro da fare che premere bottoni ed azionare leve di comando.

Ecco dunque la mia profezia. Ciò che oggi chiamiamo la rivoluzione industriale non è che la prima fase del tentativo dell’uomo di affrancarsi dalla propria incompetenza animale: è la fase di approccio alla conquista della Superenergia. Ci troviamo oggi all’apice di questa fase. I1 mondo attende qualche cosa di nuovo. Di che cosa abbiamo bisogno? Di una maggiore acutezza di sensibilità, anzitutto: di una maggior capacità di esperire sensazioni in grande scala e di minuta struttura, così da essere più pronti nelle reazioni a qualunque cambiamento degli eventi umani. Solo così possiamo soverchiare la finora invincibile stupidità della specie. E non possiamo aspettare di far ciò mediante la evoluzione, che è troppo lenta, ottusa, erratica.

Dobbiamo scegliere noi stessi la giusta direttrice escogitando macchine che intensifichino in noi qualunque sensibilità che ci sembri meritevole di sviluppo e profittevole. Così potremo allargare i nostri orizzonti, percependo cose prima impercettibili e che ci stimoleranno a reagire. Gradatamente impareremo che il mondo reale è qualche cosa di radicalmente diverso da quello che ci rivelano i nostri nudi organi del senso; troveremo che tutte le filosofie, tutti i codici morali, tutti gli atti politici basati su un ingenuo empirismo devono essere inesorabilmente scartati come dimore poggianti sulle sabbie dell’illusione.

Così entreremo nell’Era del Super-Senso, in cui saremo guidati da nuove batterie di misuratori, di indicatori, di controlli tutti attinenti al campo sensorio e potenzianti il nostro ambiente nello spazio e nel tempo. In un secondo tempo verranno i meccanismi che perfezioneranno i lavori implicitamente suggeriti dalle nostre reazioni fattesi più intense e più sicure e più pronte. I1 trionfo di  quest’Era sarà un’apoteosi che sola meriterà il nome di Civiltà. Allora la stupidità sarà ridotta ai minimi termini, e l’uomo emergerà dalla giungla. I soli errori possibili saranno quelli procedenti da un imperfetto disegno di qualche macchina, o da avaria sopravvenuta nel suo funzionamento: rimediabili.

testi a cura di Pierluigi Ridolfi

[1] William Stanley Jevons (1835-1882), inglese, economista e studioso di logica, è inventore di una macchina che, date certe premesse, è in grado di trarne delle logiche conclusioni. Da queste idee nacque nel 1869 una specie di calcolatore meccanico, denominato “Logic Piano”.


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