Per eliminare la povertà energetica è necessario che i paesi ricchi e le organizzazioni abbiano la volontà di “tenere fede agli impegni” e di garantire, ovviamente, un sostegno finanziario. Solo così si assicurerà uno sviluppo sostenibile per tutti
Simon Tompkins intervista Suleiman Al-Herbish, direttore generale del Fondo OPEC per lo Sviluppo Internazionale
Aiutare chi è povero, fornendogli strumenti primari per vivere e per garantirgli un’autonomia. Dare, insomma, anche a chi è in forte difficoltà, un futuro migliore. E’ una cosa che a tutti piacerebbe fare, nel proprio piccolo. Suleiman Jasir Al-Herbish lo fa di mestiere, come direttore generale dell’OFID, il Fondo per lo Sviluppo Internazionale dell’OPEC. Al-Herbish si occupa dei poveri del mondo, di quelli che non hanno accesso al cibo, all’acqua potabile, all’assistenza sanitaria e all’istruzione. E, soprattutto, all’energia. Un obiettivo che il direttore generale del Fondo spera di vedere concretizzato a “Rio+20”, la Conferenza delle Nazioni Unite incentrata sullo Sviluppo Sostenibile.
La “povertà energetica”, al centro dell’attività dell’OFID, ha implicazioni a livello globale. Com’è la situazione attuale, nel mondo, e cosa deve succedere perché qualcosa cambi?
Devo dire che la cosa più sorprendente resta a mio parere il fatto che l’eliminazione della povertà energetica non sia stata inserita, fin dall’inizio, negli Obiettivi del Millennio. Questa è la prima cosa che viene in mente: gli otto obiettivi non potranno mai essere raggiunti in assenza di energia. Noi abbiamo cominciato a riflettere sul problema proprio partendo da questo punto di vista. Nel 2007 abbiamo tenuto il III summit dei capi di stato OPEC a Riyadh (Arabia Saudita): la dichiarazione conteneva un capitolo sull’energia e sullo sviluppo sostenibile nel quale i nostri leader chiedevano la soluzione del problema della povertà energetica. Lo stesso anno, quando i prezzi del petrolio (WTI) salirono fino a 147 dollari, il re saudita organizzò una conferenza e inaugurò un’iniziativa denominata “energia per i poveri”. È lì che è iniziato il nostro lavoro. Energia per i poveri significa che 1,3 o 1,4 miliardi di persone, molte delle quali risiedono in Africa (si calcola circa 600 milioni), soffrono di povertà energetica. Noi abbiamo iniziato a cercare strade e mezzi per aiutare queste persone. Molti dei nostri progetti riguardano la produzione di energia: molte persone non hanno energia elettrica semplicemente perché i mercati non sono riusciti a risolvere il problema (ad esempio nell’Africa subsahariana). Le persone indigenti non sono in grado di pagare per l’energia elettrica (e non possono nemmeno permettersi grandi investimenti). È necessario quindi un intervento a livello governativo, nonché da parte di organizzazioni come la nostra e da parte del settore privato. Spesso tendiamo a rimanere in attesa di un’azione a livello globale (e a volte questa tarda ad arrivare, ad esempio nel caso di Kyoto e Doha, convegni internazionali che però non hanno ottenuto alcun risultato), oppure, come nel nostro caso – e nonostante la limitatezza delle risorse – cominciamo a darci da fare. Ovviamente non possiamo lavorare da soli, ma in questo modo diamo un buon esempio. È necessario risolvere il problema: pensiamo a paesi come Nigeria, Ciad, Uganda, Malawi, Burkina Faso, Vietnam e molti altri. Noi ci concentriamo soprattutto sull’energia elettrica, ma finanziamo, fra le altre, anche l’energia geotermica, solare, eolica. Siamo disposti a finanziare energie rinnovabili, non abbiamo alcun problema da quel punto di vista. Ecco la ragione per cui Ban Ki-Moon mi ha inserito in un team di alto livello che lavora per la Conferenza delle Nazioni Unite “Rio+20”.
Pensa che sia possibile sconfiggere completamente la povertà energetica?
Mi si chiede spesso se lo ritengo “possibile”, e la mia risposta è “sì”. Ci sono diversi fattori da prendere in considerazione, ma ciò che è indispensabile è la volontà politica; inoltre, è necessario che i paesi ricchi e le organizzazioni abbiano la volontà di “tenere fede agli impegni”. Si sente spesso dire che i Paesi in via di sviluppo non hanno governi, strutture, sistemi, ma noi non dobbiamo attendere il giorno in cui essi avranno tutto questo. Noi non siamo un’istituzione politica, noi ci rivolgiamo alla gente, creiamo progetti. Quando realizziamo un progetto (una scuola, un ospedale o un impianto per la produzione di energia), esso non verrà cancellato ma diventerà invece parte dell’infrastruttura. Quando ci sono la volontà politica e la tolleranza, tutto è possibile.
Oltre alla volontà politica, servono i fondi.
Naturalmente la volontà politica deve essere accompagnata da una volontà finanziaria. Servono miliardi, qualcosa come 48 miliardi di dollari, secondo le stime dell’AIE. È un traguardo possibile, è parte del sistema. Spero in una svolta a Rio+20. Questa volta mi auguro che il programma comprenda la decisione di affrontare la povertà energetica. Il programma di Rio è dedicato allo sviluppo sostenibile e lo sviluppo sostenibile è collegato alla cancellazione della povertà in generale (sanitaria, educativa, energetica). Perciò spero che questa volta gli occhi del mondo verranno puntati su questo problema. Il problema della povertà energetica e della povertà in generale non è solo economico e sociale, ma riguarda anche gli “effetti” che ne derivano. A questo proposito vorrei descrivere un progetto che abbiamo finanziato in Armenia, che riguarda l’allacciamento alla rete del gas. Abbiamo fatto visita a una famiglia povera e la donna di casa ci ha accolto cucinando per noi, visto che l’allacciamento alla rete del gas era stato completato con successo. Sul muro c’era la fotografia di un bell’uomo sulla trentina e la donna ci disse che era suo figlio. La fotografia era stata scattata tre mesi prima, mentre l’uomo stava tagliando un albero nella foresta, prima che lui morisse a causa di un tronco cadutogli sulla testa. Quando ce ne andammo, la donna mi ringraziò per il progetto e disse che anche se aveva perso suo figlio, ora aveva il gas e non si sarebbe più dovuta preoccupare di perdere anche i suoi nipoti a causa di simili incidenti. Queste sono le ragioni etiche di tali iniziative. In Gambia abbiamo finanziato un piccolo progetto che comprendeva l’illuminazione delle strade dall’aeroporto al centro città, per un totale di 29 km. Abbiamo ricevuto una delegazione proveniente dal Gambia che ci ha ringraziato molto perché il progetto aveva ridotto del 50 percento i crimini notturni. Ciò dimostra che tutto è connesso e interdipendente. Spero che il mondo dia ascolto a Ban Ki-Moon e a noi.
Quindi qual è la soluzione? Un cambio di mentalità?
Naturalmente si tratta di cambiare il proprio stile di vita. Tornando al problema dell’efficienza e dell’utilizzo dell’energia, prendiamo l’esempio degli Stati Uniti. Se lo stile di vita statunitense non cambia (automobili enormi, 3 o 4 automobili per ogni famiglia) non risolveremo mai il problema. Se si vuole cambiare il futuro, è necessario un cambiamento da parte di ognuno di noi.
Se dovesse indicare chi sono i responsabili di un accesso all’energia ancora così limitato, chi metterebbe al primo posto?
I poveri non sono responsabili della loro povertà. Non è possibile rivolgersi ai poveri come se la povertà fosse un crimine, un crimine da loro commesso. Non voglio discutere le ragioni politiche di questo problema, ma i paesi poveri hanno subìto secoli di occupazione coloniale che li hanno notevolmente impoveriti. I loro problemi dovrebbero avere la precedenza e dovrebbero essere affrontanti in maniera adeguata. Tutto ciò ha delle implicazioni sulla sicurezza a livello globale. Più poveri ci sono nel mondo, maggiore è la minaccia alla sicurezza globale. Faccio un esempio. Per quale ragione la comunità internazionale ha avuto così grande successo nel combattere l’HIV/AIDS, tranne in Medio Oriente, in Asia o altrove? In alcuni Paesi è stato fatto un lavoro straordinario. Perché? Perché il problema era sulla soglia di casa, a due passi dal proprio paese. Perché quando negli Stati Uniti era necessario affrontare la crisi dei mutui subprime sono stati immediatamente resi disponibili 700 miliardi di dollari? Immediatamente! Si dice che la povertà energetica richiede soldi, ma questi sono tanti soldi! Lo stesso accade nella zona euro, con il salvataggio della Grecia e anche del vostro Paese (l’Italia, ndr). Quindi si tratta davvero di un problema di volontà politica e di equità. Il nocciolo della questione sono le persone e la giustizia.
Tornando al discorso della sostenibilità, quale crede che sarà la situazione dell’Africa fra trent’anni?
Si tratta di una questione molto complessa. Sono davvero ottimista. Ho visitato diversi Paesi africani e loro sanno bene quali sono i loro problemi, sono determinati a risolverli, stanno provando a “costruire” capacità. Hanno bisogno di cooperazione, ma più sono chiari con la comunità internazionale rispetto a ciò di cui hanno bisogno – a patto che continuino a esercitare un certa pressione – maggiori saranno le loro probabilità di avere successo. Hanno a disposizione molte risorse e la costruzione di “capacità” umane rappresenta un fattore fondamentale per il progresso dell’Africa.