«Non siamo una media company. Siamo una technology company. Noi produciamo strumenti, non contenuti». Non solo, Mark Zuckerberg, ma è pacifico dire che attraverso questi contenuti, forniti in via del tutto gratuita e volontaria, Facebook ci ha costruito la sua fortuna. Il Townhall Q&A romano di Mark Zuckerberg, attraverso il quale ha risposto alle domande degli studenti della Luiss, davanti a una platea di vip, startupper e developer, ha sì fornito buoni spunti motivazionali ma è stato costruito ad arte per evitare domande troppo scomode. Per esempio: redistribuire i guadagni che provengoo da contenuti coperti da diritto d’autore!
Gli instant articles sono un’opportunità per gli editori che potrebbero autonomamente gestire tutta la pubblicità articolo per articolo? O per Facebook che, così, mantiene l’utente dentro il suo recinto?
Continuiamo, col senno di poi si è scoperto che Facebook ha licenziato tutta la sua parte editoriale per testare un “bot giornalista” che avrebbe dovuto riprendere le notizie di maggior interesse secondo gli utenti e “rimestarle”. Esperimento fallito dopo 3 giorni.
Ancora, di recente un dirigente di Menlo Park ha detto: «Se qualcosa proviene dai tuoi amici o dai tuoi parenti, allora sarà nel tuo feed». Potrebbe significare un taglio nell’informazione di chi non ha un amico o un parente giornalista. Ma l’editoria dipenderà sempre più dagli algoritmi?
In Italia, il 41% del 60% di utenti internet in possesso di Facebook s’informa tramite il social network. Di questi, la maggior parte si limita a leggere il post in bacheca senza aprirlo, affidandosi al titolo – nella maggior parte dei casi si tratta di clickbaiting – e delle tre righe di occhiello. Sarebbe utile studiare le ripercussioni sulla società civile. Un ultima domanda, Mark, se la televisione ci ha traghettato nell’era del divertimento – come diversione – i social network dove ci stanno portando?