È un intervento a metà tra la lezione di semiotica e il seminario sulle tecniche di propaganda quello di Raffaele Rio, presidente di Demoskopika, che è tra gli organizzatori della due giorni di “Accademia della Democrazia” di Vico Equense.
Tratta di tecniche di linguaggio, che categorizza con nomi evocativi come “politichese”, “burocratese”, l’infido “paraculismo”, ma anche di attitudini: “il tecnico”, “il politico affetto dalla sindrome di Grimilde”, “il politico in stile Cetto Laqualunque”. Soprattutto il personaggio inventato dal comico Antonio Albanese ricorre più volte come esempio, negativo ma piuttosto realistico, del declino che il lessico politico sta palesando negli ultimi anni. Si passa dalle grandi promesse basate sui desideri più comuni dell’elettorato, alle fantasiose e arzigogolate costruzioni fraseologiche di chi ha fatto della perifrasi l’arma più efficace di tautologia, fino ad arrivare alle sottigliezze più specifiche possibile che lasciano nell’aria una serie di respiri profondi sconcertati e sguardi confusi. Ma, attenzione, non bisogna illudersi che tutto ciò sia casuale perché sarebbe ingenuo.
Rio propone una serie di esempi reali e ben selezionati di molte situazioni emblematiche le quali, prese singolarmente, fanno sorridere due volte. Una prima, più spontanea, con la punta di orgoglio che si manifesta sempre quando sentiamo di aver smascherato un inganno; una seconda, più amara, quando ci rendiamo conto di esser stati, anche noi, un po’ presi in giro. È la grandezza della retorica, tramandata fin dai greci e classificata nel medioevo tra le tre arti liberali, insieme a grammatica e la dialettica (che si distingue dalla prima perché volta a dimostrare e non a persuadere) che, sotto spoglie telematiche, si ripropone nella comunicazione politica e istituzionale contemporanea. Purtroppo, i nostri retori attuali non si preoccupano tanto dell’effettiva efficacia delle proprie azioni politiche quanto della propria immagine. “Sono affetti dalla Sindrome di Grimilde, come la strega di Biancaneve si interrogano (e interrogano la propria rete di contatti e sostenitori) costantemente su di sé”. È un continuo susseguirsi di momenti autobiografici, nei quali il leader carismatico cerca plebisciti d’immagine, bagni di folla digitale che commenta, condivide, rilancia, alimentando così il traffico di messaggi e di visibilità di un politico piuttosto che di un altro.
In una ricostruzione per ideal-tipi si passa dal berlusconismo al “puro tecnico” di Monti, alla personalizzazione totalizzante di Renzi, la prima di questo stampo nel nostro Paese, che raggiunge il suo apice con il referendum del 4 dicembre 2016: “nel quale, essenzialmente, il leader sposta il quesito referendario dall’argomento reale alla sua persona, un po’ come se sulla scheda ci fosse stato scritto: volete me o no?” spiega Rio. Poi il modello cambia e si settorializza: c’è quello della Piattaforma Rousseau, che dichiara obsoleto ogni avversario proponendosi come l’unica alternativa di buon senso (e onesta) e il modello Lega 2.0 su scala nazionale, che mette da parte l’odio verso il Meridione e la voglia di secessione in nome di un volto più rassicurante personificato da Matteo Salvini.
Come destreggiarsi in questa lunga teoria di varianti linguistiche, lessicali e stilistiche? Per Rio la soluzione si trova nella fusione tra due modi di approcciare la gestione della Cosa Pubblica: il Politico e il Tecnico. Dalla loro fusione equilibrata dovrebbe nascere il “Poli-Tecnico”, una figura competente ma capace di essere recepita chiaramente dal pubblico, in grado di trovare risposte adeguate a problemi complessi senza rifugiarsi nelle ambiguità del linguaggio ma portando avanti una visione concreta e fattiva dell’azione politica.