SARA AQUILANI –
Il Festival Eurovisioni, l’appuntamento che mette a confronto i protagonisti dell’audio-visivo europeo, giunto alla sua XXVII edizione, dedica il dibattito di quest’anno al tema “Rafforzare il servizio pubblico di fronte alla tempesta digitale”. “Il servizio pubblico radiotelevisivo in Europa è un argomento lungamente discusso in altre edizioni dove abbiamo messo a confronto il modello europeo con quelli esistenti in altre regioni del mondo – spiega Giacomo Mazzone, Segretario Generale Eurovisioni, discutendo dei punti di forza e di debolezza del sistema misto divenuto lo standard europeo –. Non era questo il tema che il Comitato Direttivo avrebbe voluto discutere quest’anno ma, il calendario degli eventi, ci ha costretto a rivedere all’ultimo momento i piani elaborati con grande anticipo. Due gli avvenimenti che hanno determinato la scelta di quest’anno: l’annuncio del governo portoghese fine 2012 di voler privatizzare il servizio pubblico della RTP e, soprattutto, la decisione del governo greco di chiudere con un colpo di mano di tipo militare, il servizio pubblico della ERT subito prima dell’estate 2013. La domanda che questi due eventi hanno fatto diventare d’attualità fra gli addetti ai lavori è se si possa fare a meno in una società avanzata e basata sul modello sociale europeo, del servizio pubblico di radiotelevisione. Se il tanto decantato modello misto pubblico-privato, eretto dal Rapporto Belet approvato dal Parlamento Europeo appena tre anni fa (2010) a base del sistema mediatico dell’Unione, sia già obsoleto e destinato a diventare un ricordo del passato”.
A differenza degli USA (l’esempio virtuoso frequentemente citato di come si possa fare a meno del Servizio Pubblico comunemente inteso) in Europa le tv pubbliche della maggioranza dei Paesi detengono ancora quote significative degli ascolti radiotelevisivi, raggiungono larghe fasce di ascoltatori (tranne alcune eccezioni) e offrono programmi rivolti a tutte le platee e non solo alla classe dirigente di un Paese. In tempi di austerità diffusa, questa capacità di rivolgersi all’intera popolazione e di tenere insieme il Paese non è più una priorità ai primi posti per le classi dirigenti nazionali. Anzi – in alcuni Paesi – il servizio pubblico radiotelevisivo è scambiato con una qualsiasi “utility” come l’acqua o l’elettricità, di cui si può passare la gestione ai privati. Eppure, la battaglia per un servizio pubblico di tutti non è di certo una battaglia di parte, ma è e dovrebbe essere una rivendicazione di tutti i cittadini, di destra come di sinistra, condotta da chi vi lavora, ma anche appoggiata da tutti coloro che hanno a cuore il modello europeo di sviluppo, solidale e basato sulla volontà di federare i cittadini di ciascun Paese.
Sara Aquilani
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