Sarà vera la volontà di riformare la Rai o è solo un “falso” movimento? Qualcosa si muove, dopo anni di tentativi naufragati e forse neppure davvero convinti. Tanto in televisione basta andarci. Ecco quello che conta, almeno per una parte cospicua del ceto politico. Fu questa la “filosofia” prevalente nella seconda metà degli anni novanta, quando il progetto di riordino del servizio pubblico del centrosinistra fu boicottato insieme alla legge sul conflitto di interessi. Prevalse la grave sottovalutazione della portata del sistema dei media, prossimo a diventare –al contrario- esso stesso soggetto politico, strapotere tra i poteri. Con il berlusconismo imperante il servizio pubblico andava circoscritto e sospinto al di fuori dei trend dello sviluppo integrato (il matrimonio con telefoni e rete), lasciandolo volteggiare nel limbo della logora offerta generalista. Il “duopolio” cominciava a prendere i volti di Sky e di Mediaset, con la Rai sospinta in serie B. Proprio la vicenda più recente, vale a dire il tentativo di conquista di “RaiWay” da parte di “EI Towers” (e chissà come andrà a finire) sembra l’urlo di avvio della guerra finale. Dove proprio il servizio pubblico si gioca la partita della vita. Ecco, allora, perché è importante riprendere finalmente il cammino di una “riforma di struttura”. Il governo ha annunciato la presentazione di un suo progetto, e l’ha detto più di una volta. Siamo in attesa. Altri articolati sono stati nel frattempo depositati: Anzaldi (che riprende la proposta dell’allora Ministro delle comunicazioni Gentiloni), Marazziti: per stare nell’area della maggioranza. E proprio ieri, per passare alle opposizioni, è stata divulgata la proposta del Movimento 5Stelle. Interessante, perché rende assai rigorosi i criteri di scelta dei consiglieri di amministrazione, sottoposti ad una valutazione di merito stringente. Anche se appare curioso l’affidamento di un atto tanto delicato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che certo non si è rivelata in quest’ultimo scorcio di tempo campione di attività e di solerzia. Anzi. Comunque, lo sforzo di Roberto Fico e dei colleghi ha diversi aspetti utili, da tenere in conto nell’immaginare una discussione aperta e senza preconcetti. A tal fine, un bel gruppo di parlamentari (Nicola Fratoianni e Pippo Civati, Arturo Scotto, Sandra Zampa, Luca Pastorino e Annalisa Pannarale) ha elaborato un’ipotesi normativa convincente, nonché innovativa nel metodo. E’ il frutto, infatti, di un lungo e partecipato confronto istruito dal “MoveOn-Italia.La Rai ai cittadini”, movimento nato qualche anno fa sull’onda dell’esperienza venuta dagli Stati Uniti. I punti essenziali dell’articolato riguardano in primo luogo la funzione di “bene comune” attribuita al servizio pubblico, il cui ruolo deve aumentare e non diminuire nell’era digitale, per evitare ulteriori divisioni culturali e sociali. La Rai può trovare prospettive e strategie adeguate se diviene lo strumento per la diffusione gratuita e generale di tutte le piattaforme tecnologiche. Inoltre, il consiglio di amministrazione è eletto da un organismo indipendente e rappresentativo del mondo della società civile: il Consiglio per le Garanzie del servizio pubblico, formato solo in parte ridotta da espressioni direttamente politiche ( 6 membri su 21 indicati dal Parlamento). Insomma, la scelta di liberare la Rai dall’antica servitù della lottizzazione passa dalla teoria alla prassi. A breve scade il consiglio della Rai. Per cortesia, la legge Gasparri questa volta no.

Vincenzo Vita

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Vincenzo Vita
Sono stato deputato dal 1996 al 2001 e Sottosegretario del Ministero delle comunicazioni nei governi Prodi, D’Alema e Amato, con delega al sistema radiotelevisivo e alla multimedialità. Ho collaborato alla preparazione di diverse leggi, come la Riforma generale del Sistema delle comunicazioni (L. 249/97), la normativa sulla Promozione di film e audiovisivi italiani ed europei (L. 122/98), la normativa Antitrust sui diritti televisivi del calcio criptato e sul “decoder unico” (L. 78/99), la legge sulla Par condicio (L. 28/2000), la legge quadro sull’Inquinamento elettromagnetico (L. 36/2001) e quella sul “digitale” (L. 66/2001). Numerose sono state le partecipazioni a riunioni europee e manifestazioni internazionali inerenti le tematiche radiotelevisive e culturali. Così a Ottawa, in Canada, nel giugno del 1998 ho contribuito alla nascita dell’International Network on Cultural Policy, un Forum di 23 Paesi dedicato ai temi della globalizzazione e della diversità culturale. In occasione della riunione di Santorini, in Grecia, nel 2000, sono stato nominato coordinatore per il Forum del gruppo di lavoro sui mezzi radiotelevisivi, incarico ricoperto fino alla fine del governo Amato nel 2001. Dal 2002 al 2004 ho fatto parte del Consiglio d’Amministrazione dell’Azienda Speciale Palaexpò di Roma. Dal 2003 al 2008 ho ricoperto il ruolo di Assessore delle Politiche Culturali, della Comunicazione e dei Sistemi Informativi della Provincia di Roma, ho lavorato alla creazione di un laboratorio progettuale, immaginando la Provincia come “distretto culturale”, per una politica culturale aperta e inclusiva, articolata in processi che tendono a obiettivi di sistema e stabilità. Ho cercato di contribuire alla ‘Provincia digitale’. Nell'ultima legislatura sono stato vice presidente della Commissione cultura del Senato. Una voglia di “comunicare la politica” che ho espresso anche a livello internazionale facendo parte dell’International Institute of Communication.