Pubblichiamo l’intervento di Corrado Calabrò, Presidente dell’Agcom, per la presentazione del volume “ICT, Italia: idee, rischi, opportunità”

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È un onore per me essere qui come presidente dell’Autorità italiana per le comunicazioni in occasione della pubblicazione degli atti delle Giornate marconiane sui cento anni del premio Nobel a Guglielmo Marconi. Ça va sans dire che l’Agcom ha nel cuore Marconi e, soprattutto, ha a cuore l’evoluzione e la traduzione della sua visione.

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“Quali che possano essere i suoi attuali difetti e le sue deficienze, la telegrafia senza fili è destinata ad affermarsi, e non soltanto ad affermarsi, ma a progredire e svilupparsi. Per questa via si potrà forse trasmettere un giorno i messaggi a Paesi lontani con un minimo consumo di energia e conseguentemente, con minima spesa”.

Queste le parole pronunciate da Marconi nel suo discorso per il conferimento del Nobel, nel dicembre 1909.

Quanta consapevolezza poteva avere Marconi degli sviluppi futuri della sua invenzione?

Nessuno immaginava allora che quell’invenzione avrebbe letteralmente cambiato il mondo.

Telefono, televisione, Internet hanno fatto del pianeta un “villaggio globale”. Ma in principio fu la radio, vale a dire la trasmissione a distanza, senza fili, di segnali sulle onde hertziane.

Marconi cominciò, così come altri (Hertz, Tesla, Braun, Edison, Popov), con esperimenti di trasmissione a breve distanza. Ma fu lui il primo a credere nella possibilità della trasmissione di messaggi istantanei a grande distanza.

La cosa era in contrasto con la conoscenza scientifica – e con lo stesso senso comune – che gli ostacoli naturali (montagne, oceani), e soprattutto la curvatura della Terra, costituivano un impedimento insuperabile per le onde hertziane.

Nessuno – e meno che mai Marconi, che non era uno scienziato teorico – sapeva allora che la Terra è circondata da una fascia di gas ionizzati, la ionosfera, che riflette le onde radio.

Marconi credette nella trasmissione da un punto all’altro del globo terrestre nell’erronea convinzione che le onde radio seguissero la curvatura terrestre.

Non solo ci credette: la realizzò.

Serendipity: si chiama serendipity la capacità di rilevare e sfruttare in modo appropriato una scoperta occorsa in modo del tutto casuale durante una ricerca orientata verso altri obiettivi.

“L’immaginazione è più importante della conoscenza” ha affermato una volta Einstein.

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Le tecnologie della comunicazione sono un motore di sviluppo senza paragoni, se non con l’utilizzazione dell’energia elettrica. In cento anni hanno prodotto cambiamenti mille volte maggiori di quelli realizzati in trenta secoli. La convergenza tra audiovisivo e telecomunicazioni ha potenziato la capacità umana in una maniera sbalorditiva.

È la Rete a costituire l’elemento nuovo di vera discontinuità rispetto alle condizioni che storicamente hanno determinato i circoli virtuosi di crescita della società.

In meno di 40 anni Internet è diventata un’infrastruttura da cui dipendono non solo la comunicazione mondiale, ma anche le transazioni economiche di tutti i settori, il trasferimento e la conservazione dei dati, le operazioni militari, il successo dei moti insurrezionali.

La Rete è la spina dorsale della moderna intelligenza collettiva, della nuova economia; è il tessuto connettivo della società non localizzata d’oggi.

L’elemento dirompente è quello della nuova comunicazione digitale – aperta a tutti, globalizzata e in tempo reale – nata con i vecchi Sms e ora esplosa con le chat, i blog, YouTube, Wikipedia. Si creano nuove comunità che annoverano milioni di membri (Facebook ha 600 milioni di aderenti, di cui 18 milioni solo in Italia; Twitter ha circa 200 milioni). Comunità aggregate e interattive più delle comunità di quartiere, di paese, di partito, di parrocchia.

È impressionante il ruolo che la comunicazione digitale ha avuto nelle rivolte dei Paesi nord-africani. Che sia stata il tramite della propagazione dell’onda rivoluzionaria o una delle con-cause non è facile dirlo; di certo è stata il veicolo di trasmissione più potente all’interno degli Stati (anche di quelli più autoritari) e nei confronti della comunità mondiale. Nel giro di poche ore la comunicazione (specie su Twitter) è dilagata inarrestabilmente.

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Nella telefonia mobile – smentendo, sia pure a scoppio ritardato, il detto nemo propheta in patria– l’eredità marconiana è sotto gli occhi di tutti. La diffusione dei terminali mobili nel mondo è cresciuta vertiginosamente: da 700 mila sim a 5 miliardi in 10 anni, dal 2000 al 2010; e l’Italia è il primo Paese per penetrazione dei cellulari.

Non solo il pianeta è divenuto un villaggio globale; si è anche rimpicciolito fino a entrare in un telefonino o in un tablet, nel palmo di una mano.

Le nuove forme di comunicazione non cambiano solo il modo con cui gli individui e i gruppi si rappresentano tra di loro; cambiano anche il modo di rapportarsi con le cose.

I navigatori di mappe tematiche sono un esempio: le nuove versioni permetteranno di usare anche riprese di telecamere in diretta, integrate con la realtà virtuale e altro ancora.

Il Web 2.0 – il sito dei blog, dei social network – sarà rimpiazzato dal Web 3.0: un Web semantico col quale si interagisce usando il linguaggio naturale.

Prossimamente, gli oggetti che ci circondano saranno dotati di etichette radioelettriche intelligenti (Rfid) che permetteranno una rappresentazione virtuale dell’ambiente che ci circonda (Internet of things).

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Aveva previsto tutto questo Marconi? Certamente no. Che c’entra allora tutta l’evoluzione cui ho accennato con Marconi? C’entra.

La novità fondamentale dell’invenzione di Marconi sta nella dematerializzazione della comunicazione e nel fatto conseguente che questo ha soppresso la distanza e ha sincronizzato i tempi di trasmissione e di ricezione di un messaggio. È da lì che è scaturita tutta la sequenza di invenzioni successive (telefono, televisione, Internet), ancorché non fatte da Marconi.

È questa la novità rivoluzionaria che ha cambiato il mondo. E questo Marconi lo previde e lo capì subito.

Oggi siamo così assuefatti alla realtà contestuale che stentiamo a renderci conto della sua innovatività.

Ricevere all’istante una missiva non su un foglio di carta ma mediante segnali elettronici; leggere un libro non su un supporto materiale ma sul nostro computer, sull’iPad, sul tablet, sullo smartphone; vedere e agire fuori dalla portata del nostro campo visivo mediante una telecamera; fare una diagnosi, un referto radiologico (e, in un domani, un intervento chirurgico) a distanza; tagliare la carena di una nave a Taiwan mediante un computer situato a Trieste … controllare il marito mentre sta nell’altro emisfero … sono tutte cose entrate nella nostra quotidianità.

L’assuefazione fa sì che non ci rendiamo conto di quale capacità visionaria e operativa al tempo stesso ci sia voluta per questo sconvolgente cambiamento di scenario.

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Ma, com’è stato giustamente osservato (da Aldo Grasso, in Convergenza hi-tech, sul Corriere della Sera del 7 marzo 2010), “nella società capitalistica anche la più geniale delle invenzioni deve trovare un mercato per diffondersi: deve cioè intercettare o generare dei bisogni.”

C’è quindi un’attività di fertilizzazione necessaria perché l’innovazione prenda corpo e diventi sistemica, alimentando così un nuovo ciclo, in un percorso che dovrebbe essere continuo.

L’immagine dell’Italia è quella di un Paese che quanto a creatività non difetta, ma che non ha un assetto organizzativo che dia un seguito sistematico all’idea. I talenti emigrano in cerca di un’organizzazione migliore a supporto della ricerca (maggiori fondi, ambiente scientifico meritocratico, migliori relazioni tra scienza e industria), i progetti pilota realizzati in Italia vengono sviluppati su scala industriale altrove, i nostri brevetti servono ad altri per implementare soluzioni commerciali. Un esempio fra i tanti? Poste Italiane firma un accordo commerciale con l’operatore postale albanese per la fornitura di servizi di comunicazione digitale sicura e certificata; lo stesso progetto in Italia non si è affermato in egual misura.Â

Ancora: l’inventore dell’accelerometro è un italiano (Bruno Munari); l’accelerometro è alla base del successo della console Nintendo-Wii, dell’iPhone e dell’iPad. Ma l’Italia ha un ruolo marginale nella produzione di device. Un altro italiano (Leonardo Chiariglione) ha promosso ed avviato l’attività di standardizzazione dello standard Mpeg che ha facilitato la rivoluzione digitale nel settore audiovisivo attraverso l’Mp3: non si può certo dire che l’industria ICT italiana abbia tratto vantaggio competitivo da questa conoscenza.Â

Insomma: vendiamo copie “zero” per sviluppi seriali di altri.

Il settore delle Tlc è la chiave di volta della rivoluzione digitale che, abilitando l’innovazione, può cambiare radicalmente i paradigmi dell’economia e della società.

L’agenda digitale europea identifica chiaramente le priorità e le linee di intervento che gli Stati membri devono sviluppare per recuperare la minore velocità di sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, realizzando un mercato digitale europeo alimentato da reti internet ultraveloci e da applicazioni interoperabili.

Nel nostro Paese, per una mancanza di visione d’insieme, questi scenari rischiano seriamente di non tradursi nella vita di ogni giorno in contemporaneità con quello che sta accadendo negli altri Paesi, europei ed extraeuropei.

La scarsa consapevolezza delle potenzialità delle tecnologie nella società dell’informazione relega queste ultime a uno dei tanti strumenti di sviluppo economico, mentre esse possono invece dare una spallata a un sistema imballato, possono essere il motore di un cambiamento epocale.

Telelavoro, e-learning, e-government, e-health, mobile payment, e-paper, gestione energetica intelligente: le città intelligenti possono al contempo promuovere la crescita e generare importanti risparmi. Confindustria è arrivata a stimarli complessivamente in circa 30 miliardi all’anno, a regime per l’Italia. Grazie alla sola gestione informatizzata del traffico le smart cities del progetto Ibm hanno risparmiato più di 15 milioni di dollari l’anno in minor tempo perso negli ingorghi. Potrei andare avanti con altri esempi.

L’innovazione ha un potere abilitante che proietta tutto in un contesto globale. Un potere talmente deflagrante che anche barriere storiche, politiche, sociali, mentali possono essere superate. Nel terzo mondo le reti mobili e le applicazioni per le transazioni monetarie sostengono l’imprenditorialità più di tanti sussidi. Israele e l’Alleanza europea per l’innovazione (Eai) stanno collaborando in questi giorni per mettere a disposizione di Israeliani e Palestinesi una piattaforma virtuale comune (Zooranet) per condividere informazioni, pensieri, progetti, esperienze e idee diverse al fine di creare un’unica grande rete di solidarietà e conoscenza.

Se l’ICT giova a contribuire a realizzare un ponte di pace in una delle zone più martoriate del pianeta, è ammissibile che noi non rinunciamo ai battibecchi quotidiani tra i diversi operatori della comunicazione per convogliarne le potenzialità nella costruzione di una grande infostruttura che faccia correre l’Italia?

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Attenzione: un collo di bottiglia rischia di frenare lo scenario digitale di per sé tecnicamente realizzabile. Le comunicazioni mobili hanno urgente bisogno di frequenze per lo sviluppo di nuovi servizi e per garantire la qualità di una rete su cui è il traffico è esponenzialmente crescente. La diffusione delle nuove applicazioni postula infatti una disponibilità di banda su una scala che non è minimamente confrontabile con il fabbisogno di ieri. Uno sviluppo spettacolare e rapidissimo che, nella mia ultima relazione al Parlamento, mi ha portato a dare un segnale di allerta: se non interveniamo rapidamente la nostra rete mobile rischia il collasso.

Qualcuno fraintese il mio avvertimento, ma oggi il riconoscimento della sua fondatezza è diffuso. Stime puntuali portano diversi advisor a identificare in 1 GHz di spettro la soglia minima per un utilizzo diffuso delle nuove applicazioni quali la telemedicina, il controllo del traffico e del consumo energetico nazionale.

In questa prospettiva, l’azione dell’Autorità è coerente con la visione. Non solo il Piano delle frequenze e il relativo dividendo digitale esterno, ma anche gli interventi di liberazione e di incentivo alla liberazione di diverse bande di frequenza, si prefiggono un risultato strategico di lungo periodo. Si possono ora mettere a gara oltre 300 MHz di spettro. È un primo passo; non potremo fermarci qui.

È necessaria una riflessione più ampia sulla sostenibilità dell’ecosistema digitale nel suo complesso. Una riflessione che avrà sicuramente una dimensione internazionale e che l’Autorità, anche in omaggio al genio di Marconi, intende promuovere e supportare con slancio.

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In un mondo in continua trasformazione, dove la rete intelligente fornisce nuove dimensioni di spazialità e temporalità, sorge la sfida dei nuovi diritti e della nuova economia: una sfida che postula una regolazione adeguata.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni guarda a questo cambiamento da un osservatorio privilegiato e con un compito estremamente impegnativo: adeguare costantemente il sistema delle regole a una realtà in vertiginosa evoluzione.

Lo facciamo commisurando continuamente le nostre regole agli effetti prodotti sulle situazioni in divenire. Altrimenti le regole diventano un letto di Procuste che coarta, deforma, mutila l’innovazione.

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Emanare norme “a prova di futuro” è l’obiettivo – irrealizzabile – di qualunque regolatore.

Noi cerchiamo di fare del nostro meglio. Ma non abbiamo né il genio di Marconi né la sua serendipity.Non abbiamo nemmeno il suo maggiordomo Mignani.

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                               Corrado Calabrò

                            ÂPresidente Agcom

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