Non solo investimenti, promozione e profitti. La pubblicità, negli ultimi anni, sembra stia diventando sempre più uno dei motori dell’economia europea. Gli investimenti in advertising, infatti, nell’Europa a 28 stanno innescando un circolo virtuoso con ricadute positive sulla finanza (pubblica e privata), sull’occupazione e sull’impresa, anche e soprattutto in quei settori non direttamente coinvolti nei processi produttivi.
Gli effetti positivi dell’advertising?
Ogni euro speso in pubblicità riesce a moltiplicarsi fino a sette volte. È forse questo il dato più interessante che emerge dallo studio Value of Advertising, commissionato a Deloitte dalla World Federation Advertiser (WFA), l’associazione globale che riunisce le imprese impegnate nel settore pubblicitario a cui partecipa anche l’italiana UPA (Utenti pubblicità associati). Due anni di analisi che hanno permesso di ricavare dati interessanti sugli effetti della pubblicità sui sistemi economici.
La pubblicità ‘vale’ quasi il 5% del PIL dell’Unione Europea
Nel 2014, ad esempio, la spesa in advertising nei 28 Paesi dell’Unione Europea ammonta a circa 92 miliardi di euro. Ma, come detto, ogni euro alla fine della catena economica si trasforma in ben 7 euro. La parte di prodotto interno lordo direttamente o indirettamente riconducibile alla pubblicità, nello stesso anno, è stata infatti valutata attorno ai 643 miliardi di euro; praticamente il 4,6% del Pil totale dell’area UE. E le proiezioni per gli anni successivi seguono la stessa tendenza: 99 miliardi nel 2015, con un ritorno di 688 miliardi; nel 2016, a fronte dei 102 miliardi previsti si arriverebbe a 709 miliardi.
Negli ultimi anni (e nei prossimi) investimenti in costante crescita
Finalmente, dunque, gli investimenti pubblicitari crescono. Dopo un periodo di buio .- coinciso con la crisi economica mondiale – gli ultimi tre anni stanno vedendo un trend positivo. I primi undici mesi del 2016 hanno registrato un +3,7% rispetto all’anno precedente e le previsioni elaborate da UPA sul 2017 inducono all’ottimismo (l’aumento potrebbe superare il 2%, su base 2016). “Nonostante il clima d’incertezza che permane sulle vicende economiche il mercato degli investimenti pubblicitari sta seguendo logiche di crescita continuata – sottolinea il presidente di UPA, Lorenzo Sassoli de Bianchi – buona parte di questa crescita è dovuta al web e alle sue diverse piattaforme, oltre alle buone performance della Tv”.
Pubblicità fondamentale per l’occupazione, soprattutto nel digitale
La pubblicità, però, non contribuisce solo alla ricchezza delle nazioni ma genera anche occupazione. Tre i settori coinvolti. Innanzitutto quello impegnato nella produzione vera e propria del messaggio pubblicitario; un’ampia rosa di attività che rappresenta il 16% dei 5,8 milioni di posti di lavoro sostenuti dall’advertising. Ci sono poi quei lavori e servizi – circa il 10% del totale – dei settori comunicazione, media, digital e online che sono creati e sostenuti grazie alla pubblicità (basta pensare ai giornalisti, a chi produce contenuti per il web, per la Tv, ecc.). Infine, la fetta più grande di lavori che godono degli effetti economici della pubblicità: la cosiddetta economia ‘generale’ che tra ospitalità, vendite, logistica interviene per il 74% nella forza lavoro vicina al mondo dell’adv. A conti fatti, il 2,6% di tutti i lavoratori dell’Unione Europea sono in qualche modo legati all’andamento del mercato pubblicitario.
Advertising garanzia di pluralismo e costi contenuti per Internet e Media
Lavori che, soprattutto nel comparto comunicazione, vedono coinvolte professionalità che senza gli introiti derivanti dall’advertising difficilmente si sosterrebbero e offrirebbero lo stesso servizio che oggi si riesce a garantire. Basti pensare che, senza pubblicità, i fondi per tutti i tipi di media si ridurrebbero drasticamente; il 75% dei ricavi delle radio e il 40% di quelli delle televisioni provengono proprio dall’adv e si traducono in circa 580mila posti di lavoro (soprattutto nei settori Internet, stampa e Tv). La conseguenza diretta di un ipotetico forte calo degli introiti è che gli abbonamenti alla Tv sarebbero più onerosi, la pluralità e l’indipendenza di giornali e riviste si assottiglierebbe, le radio non potrebbero più garantire per tutto l’arco della giornata informazione e intrattenimento. Sul versante Internet, poi, servizi gratuiti come la posta elettronica – regolarmente usati dal 70% della popolazione dell’Unione Europea – i social network e i motori di ricerca rischiano di diventare a pagamento, escludendo ampi segmenti della società.