“Senatore, si rivesta” di Mimmo Del Giudice è una raccolta di episodi, fatti, storielle, battute vere, verosimili e inventate, riguardanti i nostri politici. La quasi totalità di essi sono personaggi noti o poco noti della cosiddetta prima repubblica. Non mancano, tuttavia, soggetti che hanno fatto molto parlare di sé nella seconda e terza repubblica.
Fatti consacrati dai resoconti parlamentari, interventi e comportamenti dentro e fuori dei palazzi istituzionali e persino in seno alla propria famiglia, umane debolezze, prese in giro, qualche volgarità sfuggita al selfcontrol o sottolineata in ossequio alla propria scuola di pensiero politico. In sostanza manifestazioni del lato umano, non sempre immaginabili, di soggetti, autorevoli e non, cui l’elettorato ha affidato le sorti del nostro Paese, affinché mettessero mano a provvedimenti adatti a rendere il più possibile meno difficile il vivere quotidiano.
Qualche esempio: lo spogliarello in aula per essere certo di finire sui giornali; una imprecazione per la incomprensione di un termine sconosciuto o una parolaccia in aula da parte di un aspirante oratore distratto; il ricorso a una vera e propria caduta di stile da parte di un insospettabile uomo di governo eletto alle più alte cariche dello Stato; il rapporto potere-salute in un personaggio di cultura illimitata distrutto per un voto; una manifestazione di stima che spinge l’italiano più noto e stimato nel mondo a salire le scale di un palazzo della politica; un politico che si schernisce per un trattamento fuori dal comune da parte di una categoria che non ama; le tante, troppe bugie che il politico è costretto a inventarsi per “salvare la faccia” e non compromettere il suo portafoglio.
L’autore, giornalista per caso ma professionista di lungo corso formatosi a una scuola “privata” (quella dell’agenzia di stampa Ansa) che vietava commenti e valutazioni personali, cerca di mettere da parte le proprie considerazioni, nel senso che mai si dilunga su aspetti compromettenti. Tuttavia, non manca, ove occorra, di fare ricorso a quella sorta di “arte” che si chiama satira politica.