Pubblichiamo l’intervento di Gina Nieri, consigliere di amministrazione Mediaset, su “Diritti d’autore nell’era di Internet”
È davanti agli occhi di tutti quanto in questi ultimi dieci anni sia cambiato. Noi in televisione ogni giorno ci chiediamo quale altra sfida e quale altra discontinuità tecnologica dobbiamo affrontare nella costruzione dei nostri palinsesti. E da quando la Rete trasmette anche i video, quella che è sempre stata una distinzione chiara dei diversi settori (dove la televisione è sempre stata la televisione, la carta stampata la carta stampata, le telecomunicazioni hanno sempre trasportato la voce ecc.) adesso è difficile da individuare perché viviamo ormai in un mondo totalmente scontornato, in cui Internet è il filo conduttore di tutte queste attività.
Nelle aziende si devono fare i conti con la sostenibilità d’impresa. La gratuità di Internet preoccupa perché crea grossi problemi economici alle imprese. Una ricerca europea sostiene che il contributo delle industrie creative al prodotto interno lordo dell’Europa vale il 6,9%, e il 6,4% è il contributo all’occupazione nello stesso settore e che a causa della pirateria c’è il rischio che nei prossimi 4 anni l’apporto in termini di PIL si riduca a un terzo. In sostanza si possono perdere un milione e trecento mila posti di lavoro. La pirateria in Italia significa (tra video, musica e contenuti editoriali) un giro d’affari di un miliardo di euro.
L’industria televisiva e tutto il mondo audiovisivo si basa sulla remunerazione dell’opera dell’ingegno e sulla onerosità dei diritti. Questo è il pilastro che regge l’industria della produzione intellettuale in ambito audiovisivo. È evidente che ci dovrà essere anche un progresso delle normative e dei meccanismi che presiedono a questo modello di business. Però oggi succede che Google (che è come se non avesse territorialità) sta minando alle radici il nostro modello di business.
Google si presenta come un abilitatore di connettività, rifiuta nella maniera più assoluta il ruolo di tipo editoriale. Google non è un editore, però (come anche il Tribunale di Roma ha riconosciuto lo scorso anno) questo fatto di organizzare i contatti ottenuti con la visione dei video (pur se piratati) e venderli, è un’attività che connota Google non come semplice hosting ma come editore.
Google nell’ultimo trimestre ha fatto 2,1 miliardi di dollari di utile, senza oneri per produttori di contenuti. Nella Rete c’è un buco perché entità (come Google o anche Apple) non conferiscono risorse fresche ed aggiuntive al mondo della comunicazione e della produzione audiovisiva, supportata al 100% dai broadcaster e dalle major. Questo è un fatto mondiale.
Quando noi lo scorso anno abbiamo denunciato Google siamo stati definiti “giurassici” dalla stampa perché percepiti come coloro che volevano mettere briglie alla Rete. Intanto i network americani non vogliono Google Tv che pretende di organizzare a livello mondiale i contenuti in cataloghi e permettere all’utente, attraverso un software proprietario, di trovare i video cercati. I contenuti e i video vengono trattati da Google senza un accordo economico e di partecipazione con la produzione dei network americani. Anche le televisioni francesi si sono consorziate per organizzare una protezione normativa rispetto alla Connected Tv (cioè i televisori che si collegano a Internet per sfruttare contenuti e servizi on line NDR).
Mi chiedo cosa succederebbe al pluralismo se questa deriva continuasse, e possiamo esser certi che ci sarebbe lo spostamento di un flusso dall’editore di carta stampata, dal produttore Tv o broadcaster a questi nuovi soggetti che sono due o tre nel mondo, sono globali, e soprattutto riescono a muovere una massa di soldi che spaventa dal punto di vista della libertà che sulla Rete si pensa di trovare.
Noi broadcaster, editori e le altre centrali di informazione, abbiamo una grandissima credibilità e i nostri marchi sono capaci, nel pullulare di informazioni e di contenuti on line, di dare una sensazione di sicurezza e di riconoscibilità all’utente che viaggia in Rete. Questo mi sembra positivo, perché rischiare di perderlo?
Gina Nieri
Consigliere di amministrazione Mediaset S.p.a.