Ora c’è una forte attenzione agli organismi normativi preposti a garantire piattaforme più sicure e minori rischi ambientali. Così spiegano due noti energy lawyer dello studio Freshfields Brookhaus Deringer, Jonathan Rees e Daniel Lawrence

Le grandi società petrolifere e di gas internazionali hanno intrapreso esplorazioni offshore e le attività di produzione vengono espletate su base interamente globale, con operazioni che solitamente si estendono ad un ampio numero di paesi, ciascuno con il proprio sistema giuridico distinto dagli altri. Operare in un’ampia varietà di ambiti giurisdizionali diversi pone la sfida di dover affrontare legislazioni differenti in ogni giurisdizione oltre che di giungere alla comprensione di una vasta e variegata gamma di politiche e approcci applicata all’esecuzione delle leggi corrispondenti, a seconda del paese interessato e delle caratteristiche (e sofisticazione) del rispettivo
quadro normativo e delle relative competenze.

I paesi che hanno un regime normativo avanzato per la sicurezza e il rispetto ambientale.
A un’estremità di questo ampio spettro di casi ci sono i paesi che adottano regimi normativi altamente sviluppati per la disciplina della sicurezza e degli aspetti ambientali del settore dell’estrazione di petrolio e gas offshore.
Tuttavia, anche all’interno di questa serie di paesi, le differenze negli approcci normativi tra una giurisdizione e l’altra possono essere significative. Il Regno Unito e la Norvegia, ad esempio, sono entrambi giurisdizioni che adottano sistemi normativi altamente sviluppati in materia di attività di estrazione offshore. Nel Regno Unito vige un’elaborata serie di requisiti normativi che richiedono agli operatori di sottoporre alla revisione dell’autorità normativa competente analisi di sicurezza estremamente dettagliate e formalmente documentate che descrivano nei particolari le misure che saranno messe in atto dall’operatore per ridurre i rischi al minimo possibile; le misure proposte dall’operatore, inoltre, sono valutate e (normalmente) commentate dall’autorità competente, nell’ambito del processo iterativo tra ente regolatore e operatore, che porta all’accettazione delle analisi di sicurezza da parte dell’organismo di regolamentazione. Per contro, il regime normativo per l’estrazione offshore norvegese adotta l’approccio della descrizione degli obiettivi che dovranno essere perseguiti dagli operatori e non richiede la presentazione formale per la revisione, da parte dell’autorità normativa competente, delle analisi di sicurezza in quanto tali, sebbene l’autorità abbia diritto, se lo ritiene opportuno, ad esaminare la documentazione relativa agli elementi della valutazione dei rischi redatta dall’operatore. Ciò nonostante, gli approcci del Regno Unito e della Norvegia hanno in comune un’importante caratteristica: l’adozione di un approccio basato sui rischi.

Approcci diversi per la valutazione dell’impatto ambientale.

Un altro esempio che illustra la differenza nei requisiti normativi da una giurisdizione all’altra è offerto dalla considerazione dei vari approcci adottati in paesi differenti per la valutazione dell’impatto ambientale (VIA): in Australia il fattore che fa scattare una VIA è principalmente basato sugli impatti e in ambito federale le VIA sono richieste nel caso in cui le attività proposte presentino elevate probabilità di avere un impatto rilevante su questioni di interesse ambientale nazionale. Invece, l’approccio adottato in Europa (ad es. Regno Unito, Irlanda e Norvegia) per determinare se sia necessaria una VIA dipende fondamentalmente dalla natura dell’attività, sebbene per alcune attività sia richiesta una VIA soltanto nel caso in cui tale attività sia considerata suscettibile di avere effetti significativi sull’ambiente. Un ulteriore esempio è il fatto che gli USA abbiano soltanto recentemente reso obbligatorio per gli operatori implementare e mantenere sistemi formali di gestione per la sicurezza e l’ambiente, introducendo formalmente nel contesto normativo statunitense per le attività del settore energetico offshore il principio di valutazione costante dei rischi documentata formalmente che per tanti anni è stata alla base dell’approccio adottato nel Regno Unito, Norvegia, Irlanda e Canada per la disciplina della sicurezza offshore.

I casi di una giurisdizione limitata.

All’altra estremità dello spettro vi sono le giurisdizioni il cui quadro normativo è molto limitato, vuoi per la mancanza di competenze tecniche, vuoi per la mancanza di risorse. È il caso, ad esempio, di alcuni paesi africani che dispongono di consistenti riserve petrolifere e di gas offshore, ma che sono carenti nelle risorse normative e/o nelle capacità. In tali giurisdizioni, l’attenzione è spostata inevitabilmente sulle politiche, sui sistemi e sui controlli interni che le società petrolifere e del gas che desiderano operare in tali paesi hanno adottato, nella definizione di ciò che costituisce le buone pratiche per il settore petrolifero internazionale. Nel caso in cui società petrolifere e del gas internazionali operino in tali paesi, problemi quali la salute, la sicurezza, l’ambiente e l’approccio ai diritti umani e sociali sono per lo più di spettanza dei codici normativi e della cultura aziendale interna. Poi ci sono le giurisdizioni in cui il sistema normativo relativo al petrolio e al gas è volto ad obbligare gli operatori ad agire in ottemperanza a specifici standard di sicurezza e di protezione ambientale, ma in cui l’adempimento dei requisiti di conformità al sistema di concessione dei permessi ambientali e ad altri obblighi normativi comporta regolarmente il pagamento di consistenti somme di denaro al governo/autorità di regolamentazione. Un esempio è il sistema di controllo dell’inquinamento e di concessione dei permessi ambientali che è in vigore in alcuni paesi dell’ex Unione Sovietica, in cui l’operatore paga non solo per l’ottenimento di un permesso, ma anche in relazione alle emissioni e agli scarichi, con un regime sanzionatorio in vigore per le situazioni in cui i limiti di permesso siano superati (che comporta il pagamento in relazione al danno ambientale nominale). Le somme di denaro che gli operatori possono trovarsi a dover corrispondere al governo ai sensi di tali sistemi, in nome della “conformità normativa”, possono essere davvero molto consistenti; e in alcuni casi gli operatori devono avere l’impressione di essere soggetti a un sistema di imposizione arbitraria, con l’obiettivo apparente di avvalersi della normativa come mezzo extracontrattuale per ricavare maggiori introiti nazionali, regionali e/o locali dagli investitori stranieri in relazione ai progetti di estrazione di petrolio/gas che è concesso loro di espletare. Destreggiarsi tra i sistemi normativi di tali paesi può essere davvero difficile e vi sono livelli di rischio complessivo accresciuti per le società che operano negli stessi.

I progetti di trivellazione in acque profonde.
Una delle sfide attuali più importanti per il settore dell’estrazione offshore internazionale è andare alla ricerca di giacimenti petroliferi e di gas in acque profonde. La percezione di che cosa siano le “acque profonde” è cambiata nel corso del tempo, sebbene al momento una definizione comunemente accettata sia quella di profondità acquee pari o superiori a 305 m. Non si tratta di una definizione rigida.
Una gamma di fattori tecnici (quali la portata, la profondità delle acque, le condizioni geologiche) sono rilevanti nella determinazione del grado di rischio associato ai progetti; ciò nonostante, le attività di esplorazione e produzione che comportano la trivellazione a tali profondità sono generalmente considerate sia dal settore specifico che dagli organismi di regolamentazione a maggiore rischio di pericoli del genere verificatosi recentemente con l’incidente della fuoriuscita di petrolio nella acque profonde del Golfo del Messico. Vi è un’ampia gamma di progetti di trivellazione in acque profonde in programma. Tra i paesi in cui al momento sono in atto esplorazione e/o produzione in ambienti situati in acque profonde vi sono: Brasile (come nei bacini in acque profonde di Campos, Espirito Santo e Santos, comprendenti riserve al di sotto dello strato pre-sale); Nuova Zelanda (dove sono in atto alcune esplorazioni in acque profonde nel bacino del Taranaki e del Great South); Angola (dove le compagnie sono alla ricerca di metodi per migliorare l’efficienza in termini di costi di produzione da aree situate in acque profonde ad elevato rischio); Canada (con pozzi trivellati al largo della Nuova Scozia in acque profonde fino a 2.000 m); Irlanda (come nel giacimento di Corrib ubicato in acque profonde a 355m); Malesia (in giacimenti offshore a profondità che raggiungono anche i 2.000 m); Norvegia (che ha esperienza nell’ambito della trivellazione in profondità superiori a 1.000 m); e gli USA (dove al momento circa il 70 percento della produzione di petrolio nelle acque federali del Golfo del Messico deriva da pozzi trivellati in profondità acquee pari o superiori a 300m, con 65 scoperte fatte in acque profonde più di 1.525 m).

Le sfide incredibili da affrontare.
Qualsiasi dubbio è stato fugato sul fatto che gli aspetti tecnici delle perforazioni in acque profonde pongano sfide eccezionali e formidabili, in particolare in alcuni ambienti, in cui complicate condizioni geologiche, quali quelle incontrate nella perforazione dei giacimenti pre-sale, richiedono il mantenimento di un equilibrio estremamente delicato tra le pressioni opposte della formazione del sottosuolo e l’operazione di trivellazione. La trivellazione in acque profonde richiede sistemi e pratiche operative più complesse rispetto a quelle utilizzate in ambienti meno ardui. Tuttavia, con i vantaggi della tecnologia e dell’esperienza, vi sono maggiori incentivi nell’andare incontro e nel gestire le sfide dati dai potenziali premi che ricompensano ampiamente i rischi percepiti. È molto probabile che gli incentivi permarranno fin tanto che la domanda di petrolio e gas rimarrà elevata. Questa spinta alla ricerca e allo sfruttamento di riserve in acque sempre più profonde continua in un’epoca in cui, a seguito delle conseguenze della fuga di petrolio del pozzo Macondo che ha coinvolto la Deepwater Horizon, gli operatori del settore e i governi del mondo fanno il possibile per imparare la lezione data dall’incidente e per veder la messa in pratica dal settore dell’estrazione offshore, nel tentativo di impedire che un tale evento non si ripeta ancora in futuro. Sebbene il regime normativo del Regno Unito per le attività di estrazione di petrolio e gas offshore sia stato sottoposto a revisione
dopo l’incidente del pozzo Macondo e sia stato dichiarato “idoneo all’uso”, vi è comunque una lunga lista di raccomandazioni di miglioramento che è scaturita da questo processo. Questa comprende, ad esempio, una raccomandazione per cui il Governo si faccia supervisore degli eventuali cambiamenti del regime normativo statunitense per verificare se, alla luce della reazione all’incidente Deepwater Horizon, gli USA stabiliscano un nuovo standard di riferimento normativo, così come hanno fatto Regno Unito e Norvegia a seguito della tragedia della piattaforma Piper Alpha. Vi è inoltre una raccomandazione formale per cui il Governo del Regno Unito collabori con gli organismi normativi in altre province di estrazione di petrolio e gas offshore al fine di garantire che siano raggiunti i più elevati standard di sicurezza a livello globale attraverso uno scambio di lezioni sulle migliori pratiche.

Partire dalle cause dell’incidente di Macondo per sapere cosa fare un domani.
Secondo un resoconto (gennaio 2011) al Presidente Obama da parte della Commissione nazionale sulla fuoriuscita di petrolio BP Deepwater Horizon e sulla trivellazione offshore, le cause alla base dell’incidente sono state sistemiche e, considerata l’assenza di una riforma significativa delle pratiche del settore e delle politiche governative, un simile incidente potrebbe verificarsi nuovamente. Se non altro questo appello per una riforma dovrebbe servire a ricordare che una maggiore concentrazione sugli aspetti normativi e una più stretta sorveglianza, verosimilmente, comporteranno la regolamentazione delle compagnie coinvolte nelle attività di esplorazione e di produzione offshore, ovunque siano ubicate, con una maggiore enfasi sulla conformità aziendale e sull’adeguatezza delle risorse, siano esse per il contenimento sottomarino in caso di fuoriuscita o per l’eventualità di dover sostenere costi di pulizia nel caso si verifichi un incidente. Ciò che tutto questo comporterà, per le compagnie petrolifere internazionali che operano in ambienti offshore complessi nel mondo, è che esse si troveranno a dover far fronte a maggiori obblighi di conformità normativa, e ai relativi costi, per poter espletare le loro attività. La portata di tali maggiori costi non dovrebbe essere sottovalutata. Nel contesto statunitense, la Drilling Safety Rule (normativa per la sicurezza nella trivellazione), una normativa finale provvisoria pubblicata nel Federal Registrar (equivalente statunitense della Gazzetta Ufficiale) che è entrata in vigore il 14 ottobre 2010, stima che la nuova normativa comporterà un incremento annuale dei costi per ciascun operatore della Piattaforma continentale esterna (OCS) pari a 183,4 milioni di dollari2. Qualora i requisiti di questo livello di conformità innalzato si dovessero tradurre, anche implicitamente, in buone pratiche del settore generalizzate, allora le implicazioni sarebbero chiare in termini di maggiori costi potenziali per le operazioni globali delle compagnie petrolifere e del gas internazionali, in particolare per quelle che operano in ambienti sottomarini offshore difficili. Ciò che è certo è che vi è una rinnovata attenzione a livello globale a quella componente dei governi e degli organismi normativi preposti a garantire l’adeguatezza delle misure in materia di sicurezza, rischi ambientali e pericoli relativi alle piattaforme offshore e questo sta “innalzando l’asticella” per le compagnie petrolifere e del gas di livello internazionale che operano in più giurisdizioni. Abbinata a questa rinnovata attenzione normativa vi è una maggiore enfasi sull’importanza della gestione interna e della cultura aziendale, nel perseguire un impegno costante per la sicurezza da parte del settore, dal livello dei vertici direttivi e giù fino ai livelli esecutivi. Ciò pone delle sfide uniche per il settore dell’estrazione offshore di petrolio e gas, con particolare riferimento alla complessità degli accordi contrattuali e organizzativi comunemente in ballo in relazione ai progetti di esplorazione/produzione petrolifera offshore, che normalmente coinvolgono numerosi partecipanti e contraenti, ognuno di essi con responsabilità e mansioni diverse, siano esse derivanti da obblighi contrattuali o dal diritto pubblico. Risulta più importante che mai per gli operatori del settore dell’estrazione di petrolio e gas offshore tenersi aggiornati sull’evoluzione dei requisiti normativi nelle giurisdizioni in cui operano, in vista delle mosse dei governi del mondo volte a revisionare e rafforzare i propri regimi di regolamentazione in relazione alle attività offshore, oltre che concentrare l’attenzione sulla propria gestione e sugli accordi organizzativi interni in modo tale da attuare politiche, procedure e competenze aziendali finalizzate a evitare incidenti e a reagire nel modo più efficace possibile qualora essi si dovessero verificare.

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