Skorpio – Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto di Massimiliano Giannantoni, Round Robin editrice, 2018, pag 215, euro 14
Lo chiamavano Sirio, Livio, Vinicio. Alcuni anche Domenico. Per il servizio militare era Maurizio Vicari o Salvatore Bortone. Per i più era un esperto di telecomunicazioni; per i meno era uno degli Operatori speciali dei servizi italiani, precisamente della sezione K. Quella con licenza di uccidere. Era capo del Centro Scorpione e membro del gruppo paramilitare Gladio. Si dice conoscesse Ilaria Alpi e ne fosse suo informatore.
Si chiamava, in realtà, Vincenzo Li Causi ed è morto a Balad in Somalia in un conflitto a fuoco il 12 novembre 1993. Così, almeno, pare. Sembra l’inizio di una spy story, ma i riferimenti a persone e fatti sono tutt’altro che casuali.
A indagare e scavare sotto le sabbie somale è stato Massimiliano Giannantoni, grande esperto di casi difficili: per Sky Tg24 ha curato inchieste sul caso Moro, la P2 e la Banda della Magliana; una sua intervista al presidente emerito Francesco Cossiga fece riaprire le indagini sul caso Ustica.
Per questa sua ultima fatica editoriale, Giannantoni ha scartabellato archivi, reperito numeri telefonici apparentemente introvabili e intervistato familiari, generali e gladiatori.
Il 13 aprile 1991 Vincenzo Li Causi viene mandato, come agente del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, a sovraintendere le indagini e le operazioni di sequestro di materiali riguardanti il caso Gladio – l’organizzazione paramilitare clandestina creata con il pretesto di contrastare un’ipotetica invasione dell’Europa da parte dell’Unione sovietica.
Tra i documenti spunta una scheda intestata a Salvatore Bortone; ma foto, dati e impronte sono proprio quelle di Vincenzo Li Causi. Il nostro uomo guarda i carabinieri e non dice nulla: ammetterà solo davanti al sostituto procuratore di essere stato a capo del Centro Scorpione, che aveva base a Trapani, in una normale palazzina che si scoprirà poi essere di proprietà di un condannato per criminalità mafiosa.
Secondo le testimonianze raccolte da Giannantoni, il centro era composto da una decina di reclutati, aveva armi d’ordinanza, un ultraleggero, una radio e un computer. Dai rapporti ufficiali vi erano previste 355 persone – solo in parte effettivamente reclutate -, un terzo in più di quelle destinate a un centro analogo al confine con la Jugoslavia. E quindi con il Mondo comunista. Cosa c’era in Sicilia?, cosa si faceva nel centro Scorpione?
Il magistrato Giovanni Falcone sospettava che Trapani, negli Anni 80, fosse un crocevia tra mafia, massoneria e Stato, ivi rappresentato da Sismi, Sisde e, in forma deviata, Gladio. Il senatore Massimo Brutti ne era certo: Trapani era il centro di convergenze e traffici occulti, armi, droga, rifiuti tossici, terroristi internazionali.
Il giornalista Mauro Rostagno, animatore della comunità Saman e di RadioTeleCine, aveva quasi trovato le prove: aveva filmato la scena in cui casse di medicinali, pronte per essere portate in Africa, venivano sostituite da casse di armi. Rostagno morì, in circostanze molto sospette, mai chiarite, nel 1988.
E questo è niente. A sentire l’ex gladiatore Dino, nome di fantasia dato dall’autore alla sua fonte, intervistata a La Spezia, Trapani era solo un campo di esercitazione: la vera base operativa era a San Vito Lo Capo.
Quando il Centro Scorpione venne chiuso, l’agente segreto Li Causi non era più segreto, anzi, era assediato dalla giustizia e dalla stampa. Bisognava farlo sparire. In Somalia. Le grane e gli interrogatori erano l’unico motivo?
Si dice che in Somalia Vincenzo ci fosse andato per controllare il traffico di armi e per cercare documenti e soldi. E si dice che là ci fosse una parte di soldi trafugati dal Banco Ambrosiano; e qui entrano in scena Roberto Calvi e Bettino Craxi perché Vincenzo era “un uomo di Craxi”, parola di Dino.
Li Causi, insomma, arrivato a Balad ufficialmente nell’agosto del 1993, ufficiosamente tra aprile e maggio, vi morirà il 12 novembre. Quella domenica era andato a caccia con quattro colleghi, non si sa se fossero degli amici. Una jeep li seguiva all’andata, al ritorno un camion. Poi una raffica di pallottole.
Vincenzo, rispondendo ai colpi, si era rivolto al suo assalitore in italiano. Lo aveva riconosciuto? Era una trappola? Sapeva troppo e doveva essere eliminato?
Diceva Churchill I panni dei servizi segreti … si devono lavare più spesso degli altri. Ma a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra; e questa è anche la conclusione di Giannantoni. Che, però, nel suo libro di panni sporchi – e non lavati – ne ha stesi parecchi.

a cura di Virginia Volpi

Massimiliano Giannantoni

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