Antonio Spadaro (Direttore de “La Civiltà Cattolica”) punta il dito sull’educazione indispensabile a creare un ambiente digitale equilibrato. Ecco quanto afferma durante la Giornata europea della protezione dei dati: “Internet sta cambiando il nostro modo di pensare e di vivere. Le tecnologie-digitali non sono più tools, cioè strumenti completamente esterni al nostro corpo e alla nostra mente. La Rete non è uno strumento, ma un «ambiente» nel quale noi viviamo, uno spazio di esperienza. L’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana. La mediazione tecnologica non è affatto pura alienazione. Anzi i network diventano così, sempre di più, parte del tessuto stesso della società. Il vero nucleo problematico della questione è il concetto di «presenza» al tempo dei media digitali e dei network sociali che sviluppano una forma di presenza digitale. Che cosa significa essere presenti ad un evento, a una decisione? L’esistenza digitale appare configurarsi con uno statuto ontologico incerto: prescinde dalla presenza fisica, ma offre una forma, a volte anche vivida, di presenza sociale. Il concetto di partecipazione – ecclesiale o politica è strettamente legato a quello di «presenza». E, alla luce delle considerazioni sull’essere «prossimo» com’è possibile dunque immaginare il futuro della vita di una comunità civile al tempo della Rete? L’«appartenenza» civile non e il prodotto della informazione o della comunicazione. Come essere cittadini al tempo della Rete? In un mondo sempre più fatto di informazioni, cioè in una infosfera, da soggetti individuali intesi in senso classico, siamo organismi informazionali interconnessi: organismi informazioni, non di una Rete che vivono grazie alle informazioni di cui possono usufruire. A questo punto dunque comprendiamo bene come l’accesso sia diventato la nuova misura dei rapporti sociali e un diritto indispensabile per essere cittadini. Non avere accesso significa essere «scartati». È da considerare inoltre che la Rete ha il potere di rendere visibile una maggioranza invisibile di esclusi, di relegati ai margini della strada, e di dar voce a loro e ai loro diritti, trasmettendone i messaggi. Proprio qui entra in gioco la «prossimità»: i media possono aiutarci ad avvertire il senso di solidarietà e il desiderio di lottare per i diritti umani, risvegliando la nostra consapevolezza, contro la logica dello «scarto». Quindi, garantire l’accesso universale a Internet deve essere una priorità per tutti i Paesi. Anzi, per alcuni Paesi in via di sviluppo, dovrebbe essere dichiarato un diritto costituzionale.
Antonio Spadaro