L’azienda si chiama “Impossible Objects”. Il nome già rivela l’obiettivo a cui aspira: realizzare un’apparecchiatura in grado di produrre con tecnologia “additive manufacturing” oggetti finora inimmaginabili.
Il principio fisico della produzione incrocia quello tipico della stampanti 3D con tecnologie di pressofusione, risultando così estremamente promettente per lavorare materiali basati su fibra di carbonio, fibra di vetro e Kevlar.
Come illustrato nella figura, il singolo foglio di materiale fibroso viene “disegnato” con la forma opportuna depositando con tecnologia 3D printing tradizionale un apposito fluido adesivo. Il foglio così trattato, viene spolverizzato di polimero, che viene successivamente rimosso da tutte le aree meno quelle bagnate dal fluido adesivo. A questo punto si mette un altro foglio di fibra e si ripete il processo per il numero di fogli necessari a raggiungere le dimensioni dell’oggetto.
Questo wafer multistrato viene poi pressato e scaldato fino alla temperatura necessaria per rimuovere il materiale non fissato dal polimero, ottenendo la figura richiesta.
Questa nuova modalità produttiva si chiama “composite-based additive manufacturing technology” (CBAM) e risulta essere di particolare interesse per tutti quei settori produttivi che fanno un vasto uso di materiali in fibra. Primi fra tutti l’auto, l’aerospazio, l’elettronica di consumo, la difesa, i dispositivi medicali.
Il primo prototipo di questa stampante è in funzione nei laboratori di questa azienda in Illinois da pochi giorni, e non sta proprio passando inosservata! Potete per esempio vedere il video recentemente girato dagli inviati del Wall Street Journal qui: http://impossible-objects.com/