Le immagini che vengono in mente a molti di noi quando parliamo del sedicente Stato Islamico sono le decapitazioni, le uccisioni brutali e le minacce di uomini incappucciati che agitano aggressivamente un coltello di fronte alla telecamera. Tuttavia, ciò che vediamo sui nostri media è soltanto una parte di quello che il Califfato vuole comunicare. All’interno della grande quantità di materiale diffuso da ISIS ci sono, infatti, i giovani jihadisti che distribuiscono caramelle ai bambini, i combattenti che cucinano insieme una cena, i dottori si prendono cura dei pazienti nonostante i bombardamenti o i cittadini comuni che giurano di sentirsi sicuri da quanto ISIS ha preso possesso dei luoghi in cui vivono. Una propaganda che serve a trasmettere un’immagine positiva del Califfato: quella di una terra accogliente, dove è finalmente possibile per i musulmani sentirsi pienamente realizzati ed essere felici.
Questo messaggio fa parte della complessa strategia comunicativa di ISIS, che utilizza mezzi e messaggi diversi a seconda dei destinatari e di quali sono gli obiettivi che vuole conseguire. Prima di tutto c’è la dimensione locale della propaganda di ISIS, ossia quella diffusa nei territori che questa organizzazione terroristica controlla in Siria e Iraq. Tale comunicazione si basa su mezzi semplici, come i manifesti, i volantini e le radio. Il messaggio diffuso da ISIS è che il Califfato è capace di gestire i servizi e di mantenere l’ordine in modo migliore rispetto ai governi precedenti, descritti come corrotti e inefficienti. Tale discorso è particolarmente efficace nelle zone colpite dalla guerra, dove la popolazione è spaventata dagli atti di violenza indiscriminati e dai rapimenti. Il sedicente Stato Islamico vuole trasmettere l’idea di essere in grado di imporre una forma di giustizia che, per quanto possa apparire alla popolazione barbara e crudele, è pur sempre meglio del caos e dell’anarchia.
La seconda dimensione della propaganda di ISIS è quella regionale, ossia la comunicazione che si rivolge ai sunniti. Questo messaggio è indirizzato soprattutto a coloro che abitano nei paesi a maggioranza islamica, ma include anche i musulmani che vivono nei paesi occidentali. ISIS si avvale soprattutto di Internet, in particolare di foto e video, che vengono diffusi sui social network. Il contenuto di questi materiali è molto diverso da ciò che ci aspetteremmo: combattenti sorridenti, ospedali funzionanti e bambini che giocano. Per diffondere questo messaggio lo Stato Islamico utilizza in particolare brevi filmati, chiamati mujatweets. La propaganda di ISIS si basa sull’idea che il Jihad è un atto eroico e disinteressato, che realizza pienamente il vero musulmano. Nei materiali diffusi su Internet lo Stato Islamico sottolinea come al jihadista e alle loro famiglie non manchi nulla dal punto di vista dei beni e dei servizi nei territori che controlla. Inoltre ISIS ha creato una rivista online, chiamata Dabiq, che fornisce argomentazioni ai sostenitori più ideologizzati.
Tale strategia di comunicazione ha due obiettivi: il primo è di convincere le cellule jihadiste già presenti sul territorio a prestare giuramento (bay’a) per acquisire nuovi simpatizzanti, mostrando la forza del Califfato. Il secondo è di spingere nuovi volontari ad unirsi al Jihad. Le argomentazioni di ISIS si basano su una equiparazione dei governi della regioni mediorientale agli infedeli, descrivendoli come ipocriti (munafiq), non disponibili a implementare fino in fondo la Shari’a. Il messaggio dello Stato Islamico punta a rompere il vincolo di fedeltà tra Stato e cittadini, spiegando come non sia possibile praticare a pieno l’Islam al di fuori del Califfato. Uno dei temi ricorrenti nella propaganda jihadista è che le tasse dei cittadini musulmani vengono usate per combattere il vero Islam, ossia coloro che hanno riconosciuto l’autorità del Califfo. Inoltre ISIS si presenta come il difensore dei sunniti dai loro nemici storici, gli sciiti e gli “atei” curdi.
La terza tipologia di messaggio si rivolge ai musulmani che vivono in Occidente. Questo gruppo terrorista punta a dare una risposta alla crisi di identità di una parte della popolazione europea musulmana, che ha perso il legame con l’Islam dei padri e non si sente fino in fondo parte della nazione in cui vive. Anche in questo caso l’obiettivo è di reclutare nuovi combattenti, mostrando come la vita nel Califfato sia molto diversa da quella che viene descritta dai media occidentali. Una propaganda che utilizza degli strumenti molto popolari su Internet, come meme e fotomontaggi.
Infine c’è la narrativa dello Stato Islamico rivolta ai cittadini non musulmani dei paesi che combattono ISIS. Le terribili minacce del Califfato sono manipolatorie, in quanto mirano a incrementare l’odio nei confronti dell’Islam. Alimentando l’ostilità nei confronti degli islamici è più facile convincerli ad unirsi ai Califfato. Infine c’è un aspetto legato alla visione apocalittica di ISIS, basata su un hadith (detto del profeta) che racconta di un’armata di ottanta nazioni che sarà sconfitta da un piccolo gruppo di veri musulmani nella città di Dabiq. Questo gruppo terrorista legge questa profezia alla luce dell’attuale situazione geopolitica e ritiene di essere l’avanguardia che anticiperà la fine dei tempi e sconfiggerà gli infedeli. Una visione cosmologica che può apparirci irrazionale, ma che gioca una ruolo molto importante per lo Stato Islamico. Non a caso ha chiamato la sua rivista di riferimento Dabiq.

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Matteo Colombo
Assistente di ricerca presso ISPI nel programma Mediterraneo e Medio Oriente. Ha conseguito una laurea in Filosofia presso l'Università Cattolica di Milano, un Master in Studi Internazionali presso Oxford Brookes, un Master in Scienze Politiche presso SOAS, University of London e un Master in giornalismo presso l'Università IULM di Milano. Giornalista professionista, scrive per diverse riviste web, tra cui Panorama.it, The Post Internazionale e Rivista Studio. Prima di entrare in ISPI ha lavorato come corrispondente dal Cairo per TgCom24 durante la transizione post-rivoluzionaria in Egitto. Durante questo periodo, ha studiato arabo standard moderno. I suoi interessi principali sono nelle dinamiche sociali e il cambiamento politico in Egitto, Siria, Turchia e Iraq.