Un italiano presidente del Parlamento europeo: è il primo da quando, nel 1979, l’Assemblea è eletta a suffragio universale. Antonio Tajani (FI, Ppe) ‘succede’ ad Emilio Colombo, l’ultimo italiano sullo scranno più alto di Strasburgo dal 1976 al ’79.
E’ una buona notizia per l’Italia. E pare anche una buona notizia per l’Europa. Da una parte perché Tajani ha un’esperienza europea solida e importante: vice-presidente della Commissione europea e responsabile dei trasporti e quindi dell’industria, prima di diventare nel 2014 parlamentare europeo. Dall’altra perché la sua elezione non è stata frutto dell’ennesimo ‘inciucio’ europeo tra popolari e socialisti, che ci avevano ormai assuefatto all’alternanza imbelle dei presidenti di comune intesa ogni due anni e mezzo.
L’alternanza c’è stata, ma ci si è arrivati dopo un voto vero. Tajani dà il cambio a Martin Schulz, socialdemocratico tedesco, in carica per due mandati consecutivi a cavallo di due legislature – fatto senza precedenti nei quasi 40 anni di storia del Parlamento europeo a suffragio universale -. Pur essendo uscito dalle elezioni del 2014 con il gruppo più numeroso, il Partito popolare europeo aveva lasciato il primo turno della presidenza al socialista Martin Schulz: la ragione risale, almeno in parte, alla sperimentazione del meccanismo dei cosiddetti ‘spitzencandidaten’ alla presidenza della Commissione europea – le elezioni fungono da primarie -.
L’affermazione dei popolari e la cooptazione da parte del Consiglio europeo del loro candidato, Jean Claude Junker, alla testa della Commissione indussero a lasciare alla guida del Parlamento Schulz, il candidato dei socialisti, finiti secondi. Un gioco di poltrone in una logica di condivisione di compiti e responsabilità.
L’elezione di Tajani arriva al termine di un derby tutto italiano tra popolari e socialisti: il candidato degli S&D era Gianni Pittella, altro politico europeo di lungo corso, già vice-presidente vicario dell’Assemblea ed ora capogruppo dei Socialisti e Democratici, sconfitto solo al quarto voto, quando la competizione s’è ridotta a un ballottaggio. Pittella ha avuto i voti del suo gruppo; Tajani ha sommato a quelli dei popolari quelli dei liberali e dei conservatori.
Su AffarInternazionali.it, Gianni Bonvicini, vice-presidente dell’Istituto Affari Internazionali, nota che il successo dell’Italia arriva proprio “in un momento in cui il Paese è tornato a essere marginale e a subire pressioni da parte di Bruxelles sui propri conti pubblici e perfino sul software di controllo delle emissioni su vetture della Fiat-Chrysler”. E Bonvicini s’interroga pure sul sapore “artificioso” di un’alternanza concordata, in “un Parlamento che per tutti i cinque anni della legislatura non può essere sciolto da nessuno”.
Bonvicini sostiene: “Il Parlamento europeo dovrebbe rappresentare una rottura nella struttura essenzialmente intergovernativa del sistema decisionale dell’Unione. Dovrebbe, in teoria, essere l’istituzione politica per eccellenza, dove il gioco delle parti si esprime attraverso gli orientamenti ideologico-politici di ciascun raggruppamento”. Ma così non avviene, o almeno non avveniva: l’ondata di euroscettici abbattutasi su Strasburgo con le elezioni del 2014 – un quarto degli eletti – può giustificare la Grande Coalizione negli ultimi due anni e mezzo; ma essa funzionava pure prima, quando la presenza di euro-scettici era molto meno massiccia.
Il confronto Tajani – Pittella può dunque essere il segnale dell’emergere di una dialettica politica nuova nel Parlamento europeo, anche se né l’uno né l’altro potevano ragionevolmente simboleggiare, per la loro storia, il nuovo e la rottura di continuità in Europa.
Per Bonvicini, la sfida che Tajani deve affrontare è “un salto di qualità nel ruolo e nell’immagine del Parlamento europeo”. Il vice-presidente dello IAI lo spiega così: “Il problema da risolvere non è tanto quello di contrastare i gruppi euroscettici dentro il Parlamento, ma piuttosto quello di dare maggiore enfasi alla volontà dei deputati di occuparsi delle politiche dell’Unione, di orientarle e controllarle usando al meglio i pochi ma significativi poteri a disposizione … L’azione politica non può prescindere dalla crisi dell’Ue e neppure dal radicale modificarsi dello scenario internazionale di cui l’elezione di Donald Trump è l’ultima manifestazione… Il Parlamento e il nuovo presidente hanno quindi il dovere d’occuparsi meno delle logiche interne e molto di più di escogitare forme di lotta nuove e un diverso ‘modus operandi’ per rifondare un’Unione che di procedure e meccanismi anomali può morire”.