“Terrorismo internazionale e ruolo dei media: come comunica” il sedicente Stato islamico (e come i giornalisti ne utilizzano le informazioni, subendole o verificandole, facendosene megafono o censurandole): per iniziativa della presidente Stefania Sallustri, responsabile della comunicazione e dei rapporti con i media dell’Aspen Institute Italia, il Cre, Club relazioni esterne ha dedicato al tema drammaticamente attuale uno dei suoi Dialoghi, presso la Casa del Cinema di Roma, a Villa Borghese. Fra gli intervenuti, Paolo Magri, direttore dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi di politica internazionale, e Gerardo Greco, giornalista Rai, conduttore di Agorà e già corrispondente dagli Stati Uniti.

L’Ispi ha condotto uno studio approfondito sul fenomeno della comunicazione del Califfato che intreccia contenuti medievali e ‘barbari’ nella loro crudezza alla assoluta modernità mediatica e tecnologica degli strumenti e di come sono utilizzati. Sintetizzata dal professor Magri, l’analisi è stata la struttura portante di tutta la discussione. Ma l’attenzione, più che sui metodi di comunicazione degli jihadisti, s’è concentrata sulla risposta dei giornalisti e, quindi, dei media alle provocazioni degli integralisti.

Una risposta, è stato detto, che dovrebbe essere – e che talora è – senza compiacimenti, cioè senza indulgenze, nel nome dell’audience, all’efferatezza delle immagini, anche quando il loro montaggio – ha osservato Greco, ricordando il rogo di un pilota giordano caduto nelle mani degli jihadisti – sembra l’effetto speciale d’una regia di grande efficacia; senza edulcorazioni, per evitare che il messaggio, sfrondato delle sue asprezze, risulti suadente e convincente – così che i media ne diventino altoparlanti e propagatori –; e senza demonizzazioni, perché una condanna ideologica e preventiva non si sovrapponga alla condanna che deve scaturire dalla coscienza del pubblico.

La discussione è stata spesso giocata sulla contraddizione tra lo ‘spazio di democrazia’ che la comunicazione rappresenta e lo ‘spazio di demagogia’ in cui può degenerare. Ed è stato osservato come il terrorismo già in altri tempi abbia posto alle nostre società la sfida dell’informazione, più subdola di quella della violenza e del sangue. Il giornalismo, anche in queste circostanze, deve mirare a ‘raccontare la verità’, non assoluta, ma dei fatti visti e dei dati disponibili. Abdicare a farlo è già un modo di darla vinta ai terroristi, che vogliono minare le fondamenta della nostra società, renderci pavidi e insicuri dei nostri diritti, oltre che dei nostri doveri.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.