Donald Trump sta spuntando la sua lista, priorità per priorità: l’abrogazione con sostituzione dell’Obamacare – in fieri, ma intanto i soldi per l’assistenza sanitaria sono già stati razionati e quelli per l’aborto tagliati – ; la cancellazione del patto commerciale trans-Pacifico – fatto – e la revisione dell’area di libero scambio con Messico e Canada – in fieri -; una revisione delle spese immediata che faccia ‘dimagrire’ il governo federale bloccando le assunzioni (tranne che per la Difesa) – fatto -; la spinta ai consumatori a comprare americano e degli imprenditori ad assumere americano – fatto -; il bastone e la carota con l’industria dell’auto, se andate a produrre all’estero vi carico di dazi, se restate a produrre in America vi alleggerisco le tasse – fatto, presente Sergio Marchionne, l’unico non in giacca e cravatta, ma in maglione d’ordinanza blu, intorno al tavolo presidenziale -; solo mazzate per l’ambiente e favori ai petrolieri, con il rilancio di due gasdotti bloccati da Obama.
Quel che resta da fare è questione di giorni: l’avvio di negoziati per un nuovo patto commerciale con la Gran Bretagna post-Brexit – Theresa May è la prima nella lista degli inviti alla Casa Bianca -; il rilancio delle relazioni con Israele – il premier Netanyahu è il secondo -; il piano del Pentagono per il possibile invio di più soldati in Siria per ‘liberare’ Raqqa; la riforma fiscale, con la riduzione delle aliquote per le aziende dal 35 fino al 15%; un piano per le infrastrutture da 1.000 miliardi, roba alla Roosevelt, ma a beneficio dei privati; la nomina d’un nuovo giudice della Corte Suprema; e, a medio termine, un piano di rilancio dell’economia con l’obiettivo di una crescita annua al 4% e della creazione di 25 milioni di posti di lavoro in dieci anni; l’ escalation dell’offensiva contro l’Isis, il sedicente Stato islamico; uno scudo spaziale per proteggere gli Usa dalle eventuali minacce di Paesi come Iran e Corea del Nord. Mosse significative riguarderanno una stretta sugli ingressi negli Usa, dentro un pacchetto di misure per rendere più sicuri i confini nazionali – niente muro però, per ora -.
Missione compiuta!, Presidente Trump
Se il nuovo presidente voleva galvanizzare l’America che l’ha votato e spaventare quella, comunque più numerosa, che non l’ha votato, oltre che tutta quella fetta di Mondo che si autodefinisce ‘libero’ e che guarda agli Stati Uniti con simpatia e magari con riconoscenza, c’è perfettamente riuscito: prima, con il discorso nel giorno dell’insediamento; poi, con i bruschi esordi alla Casa Bianca. E se voleva fomentare l’odio verso l’America di quella fetta di Mondo che già la considera un “satana”, c’è pure perfettamente riuscito. E se infine voleva dare il ‘tana!, libera tutti’ ai populismi nostrani e ai nazionalismi altrui, russi o cinesi o quali che siano, c’è una volta di più perfettamente riuscito.
Missione compiuta!, Presidente Trump. Adesso, è chiaro: con lei al potere, lo Sbarco in Normandia non sarebbe mai avvenuto – al massimo, la guerra nel Pacifico perché i giapponesi se la tirarono proprio – e il Mondo sarebbe diviso tra Nazismo, Comunismo e America in perpetuo conflitto. Come in ‘1984’ di Orwell. Sentirla è stato come andare al cinema e scoprire che i finali ottimistici di Quarto Potere e de Il Grande Dittatore sono stati rovesciati; e che il passato può tornare, forse è già tornato.
Adesso, inizia il conto alla rovescia: – 1454 all’alba della fine del suo mandato, nella speranza che, nel frattempo, lui e alcuni suoi ‘compagni di merenda’, da Putin a Erdogan, da al-Sisi a Duterte, magari da Farage a Marine Le Pen, non ci combinino guai irreversibili.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.